L’Infiorata di Roma per la festa dei SS. Pietro e Paolo – 29 giugno

Infiorata-2013-2Sai che a Roma… il 29 giugno, in occasione della festa dei patroni della città, SS. Pietro e Paolo, a piazza Pio XII, di fronte a San Pietro, si realizza l‘Infiorata?

In pochi lo sanno, ma la tradizione dell’Infiorata, che a Roma è stata recuperata solo nel 2011, in realtà nacque proprio nella Capitale. L’antica arte decorativa in cui i fiori vengono disposti a mosaico per creare rappresentazioni geometriche o figurate risale al 29 giugno del 1625: quell’anno il responsabile della Floreria Vaticana, Benedetto Drei, decise infatti di celebrare i due Santi con una speciale decorazione della chiesa che ben si accordasse anche con lo spirito barocco allora dilagante. L’idea di questi quadri di petali fu prontamente ripresa e sviluppata dall’illustre successore di Benedetto: nientemeno che Gian Lorenzo Bernini! Questo nuovo genere di decorazione iniziò quindi a diffondersi oltre la capitale, a partire dai Castelli Romani (dove oggi è più che celebre l’Infiorata di Genzano) e in modo sempre più ampio.

Per motivi non ben determinati però, alla fine del XVII secolo Roma ha abbandonato l’usanza dei quadri floreali, per ritrovarla solo a partire dal 2011, anno in cui la Pro Loco di Roma, in collaborazione con i maestri di Infioritalia, ha deciso di restituire alla città la paternità di questa magnifica e suggestiva usanza.

Tra i festeggiamenti relativi al giorno dei SS. Pietro e Paolo ti segnaliamo anche la Girandola di Castel Sant’Angelo, altra grande tradizione di Roma recentemente riportata in vita.

Nun è morta bene, Margherita!

20130616-092550Sai che a Roma… “Nun è morta bene, Margherita!”? Si tratta di un curioso modo di dire, utilizzato sarcasticamente per invitare qualcuno a chiudere un discorso troppo lungo e noioso, che continua a ripetere sempre gli stessi argomenti.
Questo l’aneddoto che spiega l’origine del detto: si racconta che una volta la moglie di una delle guardie papali fosse molto malata. Margherita, questo il nome della donna, peggiorò ulteriormente e il marito, vedendola ormai moribonda, corse a chiamare i becchini affinché venissero a prenderla. Questi furono così efficienti, che al loro arrivo la donna non era ancora spirata. Così lo svizzero rivolse loro questo invito: “Fate un altro giretto. Non è ancora morta bene, Margherita!”.
Secondo un’altra interpretazione, questo detto si userebbe in riferimento a una sorpresa piacevole e inaspettata, presupponendo la gioia del marito per la non-morte della moglie!
Beh, non vorremmo dubitare dell’amore coniugale della guardia, ma la prima interpretazione sembra di gran lunga la più affermata!

La Menorah nascosta

menorah-rosetoSai che a Roma… è nascosta una Menorah?

In pochi lo sanno, ma nel Roseto Comunale di Roma (generalmente aperto da aprile a giugno) si nasconde una Menorah! Scopriamo dove e perché.

Nell’area che attualmente ospita più di mille varietà di rose, a partire dalla metà del XVII secolo e fino alla fine dell’Ottocento, sorgeva il cimitero della Comunità Ebraica (resti del cimitero precedente si trovano invece a Trastevere: leggi Una necropoli ebraica scoperta a Trastevere).

Il luogo, anche come conseguenza della politica discriminatoria promossa dal papato in quel periodo, divenne presto conosciuto col nome di “Ortaccio degli Ebrei“. Il suo utilizzo si protrasse fino al 1895, in quanto il Cimitero Monumentale del Verano, inaugurato nel 1836, era inizialmente riservato ai cattolici e solo dopo il 1870 fu aperto anche agli ebrei.

L’odierna via Murcia, che attualmente attraversa il roseto, fu aperta nel 1934 e in quell’occasione le sepolture vennero trasferite. Durante la seconda guerra mondiale, la zona fu utilizzata come orto per far fronte alla scarsità di viveri e finalmente, nel 1950, divenne un giardino pubblico ricco di rose.

Per ricordare le antiche sepolture, i viali di una delle due parti che compongono il Roseto, furono progettati proprio a forma di Menorah, il candelabro ebraico a sette braccia. Inoltre, presso ognuno dei due ingressi, fu apposta una targa raffigurante le Tavole della Legge.
Raramente mentre si passeggia all’interno del parco si percepisce questa particolarità che caratterizza il nostro roseto, ma, come vedi in foto, con una visuale dall’alto la Menorah risulta sorprendentemente evidente!

Chi sono i buzzurri?

OLYMPUS DIGITAL CAMERASai che a Roma… a volte siamo tutti un po’ buzzurri? Oppure no? Chi sono, esattamente, i buzzurri? Il termine BUZZURRO, usato oggi per identificare una persona rozza, ignorante e volgare, in origine indicava i montanari svizzeri che, durante l’inverno, arrivavano a Roma per pulire i camini e per vendere le “callaroste” (castagne arrostite), il castagnaccio e la polenta. La parola infatti deriva dal tedesco antico Butzen (odierno Putzen = ripulire). Dopo il 1870 BUZZURRO fu utilizzato in modo più generico, e in senso dispregiativo, in riferimento ai settentrionali italiani (soprattutto piemontesi e lombardi) che si trasferirono nella nuova Capitale.

Sta casa pare ‘na neviera! I nevaroli a Roma

madonna-neve-rocca-priora

Rocca Priora – Chiesa della Madonna della Neve

Sai che a Roma… anticamente, ma ancora fino al XX secolo, c’erano i nevaroli? I nevaroli si occupavano di raccogliere, conservare, trasportare e infine vendere la neve!

A suon di palate, il nevarolo riempiva un carro profondo e trasferiva poi il prezioso carico in cantine o grotte le cui aperture dovevano essere limitatissime per evitare che il freddo si disperdesse. Con lo stesso scopo questi ambienti venivano chiusi in modo quanto più possibile ermetico. La neve veniva compattata attraverso le operazioni di “pestaggio” e i diversi blocchi erano mantenuti separati e isolati termicamente con l’aiuto della paglia. Con l’arrivo del caldo la neve, divenuta ormai ghiaccio, veniva tagliata in pezzi più piccoli, più facili da trasportare e più vendibili.

Ovviamente il luogo d’elezione per l’approvvigionamento di neve per la Capitale erano i Castelli Romani, dove i pozzi di Rocca Priora e Rocca di Papa erano i più famosi. A Rocca Priora la neve era considerata una importante risorsa e una benedizione, tanto che alla fine del XVI secolo venne costruita una cappella dedicata proprio alla Madonna della Neve e dove poter pregare o ringraziare per la caduta del prezioso bene. Nel 1660 la cappella fu ingrandita diventando una vera e propria chiesa, ancora esistente.

Altri importanti pozzi per la neve si trovavano anche a Monte Flavio e a Monte Gennaro, ma quelli tuscolani erano senza dubbio più comodi, in virtù della loro vicinanza a Roma. Strutture di questo genere erano piuttosto conosciute a Roma, tanto che quando un romano entrava in una casa particolarmente fredda, l’esclamazione di rito recitava “Sta casa pare ‘na neviera!

Nel XVII secolo i venditori ambulanti di neve, protetti tradizionalmente da San Sebastiano, si aggiravano per la città al grido tipico e vagamente poetico di “Chi volentieri il bon vin fresco beve, eccovi qui la fresca e bianca neve!”

In tempi più recenti, i nevaroli furono “rimpiazzati” dagli operai della Fabbrica del Ghiaccio, legata allo stabilimento della Birra Peroni, nell’area di piazza Alessandria. Da qui le colonne di ghiaccio venivano trasportate in città attraverso dei tipici carri arancioni, trainati da imponenti cavalli da tiro e i pezzi di questi colossali ghiaccioli erano acquistati da osterie, macellerie, trattorie e anche da semplici privati, che iniziavano ormai ad avere ognuno la sua personale ghiacciaia, nella quale conservare il ghiaccio e, con esso, il freddo.