Antico Caffè della Pace

antico-caffe-della-paceSai che a Roma… puoi potevi (il bar è stato purtroppo chiuso nel 2016) prendere un caffè e fare una pausa rilassante all’Antico Caffè della Pace? E’ uno dei caffè storici di Roma, ed esiste dal 1891, nonostante alcune testimonianze, come, ad esempio, alcune incisioni di G.B. Piranesi, documentino la sua esistenza già dal secolo precedente. Si trova alle spalle di piazza Navona, in via della Pace 3/7, accanto alla chiesa di Santa Maria della Pace, con la sua facciata progettata da Pietro da Cortona, e il celebre chiostro del Bramante.

L’Antico Caffè della Pace, noto anche, più semplicemente, come Bar della Pace, cattura subito ogni sguardo grazie al suo magnifico porticato rivestito di edera, dall’effetto quasi magnetico nei confronti dei turisti stanchi, ma anche dei Romani e di chiunque sappia godersi la vita riuscendo a ritagliarsi i giusti tempi per vivere le bellezze di una città come Roma.

E così dovette essere fin dal XIX secolo, quando il caffè fu eletto come punto di incontro di molti artisti e intellettuali, politici e personaggi dello spettacolo: a partire dallo scultore Caffe_Della_Pace-150x150Thorwaldsen (e anche questa tradizione conferma l’esistenza del caffè già prima del 1891, visto che lo scultore morì nel 1844!) e altri artisti danesi, fino ai pittori della Scuola Romana come Scipione, Mafai, Guidi, Trombadori, Francalancia. Insieme a loro, anche poeti come Ungaretti e Caproni e varie personalità della cultura del Novecento, tra cui i registi Monicelli e Bolognini o ancora, come racconta il paparazzo Barillari, i pittori Schifano, Testa, Angeli e Fioroni. In questo Caffè nacque anche la Transavanguardia: siamo agli inizi degli degli anni ’80 e di sicuro il merito va anche, in parte, al locale che agevolò i fecondi incontri tra il critico Bonito Oliva e i pittori Cucchi, Clemente e Paladino. In tempi più recenti, anche alcuni personaggi dello spettacolo non hanno potuto resistere al fascino dell’Antico Caffè della Pace: Madonna e Spike Lee, per esempio, hanno approfittato delle magnifiche suggestioni di questo locale carico di storia.

La famiglia Serafini, proprietaria del caffè (ma non delle mura…) da circa 40 anni, ha contribuito a mantenere intatta l’atmosfera dell’epoca, conservando intatto il fascino del particolare arredamento (un misto di stile liberty, barocco e Impero), capace ancora oggi di evocare i frequentatori di un tempo e di rendere più sensibili e ispirati anche gli avventori di oggi (tranne rari e irrimediabili casi…!).

L’ambiente interno, dotato di 3 incantevoli salette, è arredato, oltre che dal bancone, con tavolini, divani e sedie, statue caffè-della-pace-registratore-di-cassa-2-150x150e colonne, ma quello che più richiama l’attenzione è la ricca suppellettile d’epoca, che finisce per moltiplicarsi nel gioco di luci e di rimandi creato dalle antiche specchiere (un’attenzione particolare va rivolta al vecchio, straordinario registratore di cassa).

Purtroppo il 10 giugno del 2013 la famiglia Serafini ha ricevuto lo sfratto dal proprietario dello stabile, il Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima. Il contratto di locazione è infatti scaduto dal 2009, e l’ente non ha voluto rinnovarlo: sembra che l’edificio sia destinato a diventare un albergo. Al momento, molti cittadini, diverse associazioni e alcuni esponenti politici si stanno attivando per evitare che un’altra importante Bottega Storica, come è il Caffè della Pace, debba cessare l’attività, perdendo con essa un pezzo di Storia della Capitale.

Leggi anche: Caffè della Pace, tutti in piazza contro lo sfratto (link esterno)

Aggiornamento: Sentenza definitiva. Il 27 febbraio 2014, nonostante appelli, raccolte di firme e manifestazioni di solidarietà, il Bar della Pace ha ricevuto lo sfratto definito. La giustizia, del resto, si occupa di far applicare le leggi… con buona pace di Storia, cultura, tradizioni e turismo! Se al suo posto sia davvero previsto un albergo, non si sa: l’istituto religioso ha scelto la strada del silenzio, nel tentativo di rispondere all’inevitabile clamore che sta seguendo la notizia dello sfratto.  Uno sfratto legale, e una vicenda nella quale sembra non sia possibile raggiungere una soluzione di compromesso, che possa evitare la chiusura dello storico locale. La stessa proposta presentata dalla senatrice Daniela Valentini, con la quale si vorrebbero equiparare le le botteghe storiche ai beni monumentali, non potrà certamente essere approvata in tempi utili ad evitare lo sfratto del Caffè della Pace. Una proposta arriva dall’assessore al Commercio Marta Lenori, la quale suggerisce che in un eventuale albergo che dovesse aprire in questo edificio, si potrebbe pensare di inglobare l’Antico Caffè della Pace. Al momento, si continuano ad organizzare manifestazioni volte a riportare l’attenzione pubblica su questa spinosa vicenda, ma per il resto, sembra proprio che si possa sperare solo nella sensibilità culturale della proprietà dell’edificio.
caffè-della-pace-sfratto-600x800Una mozione per salvare lo storico bar arriverà presto in Campidoglio, mentre prosegue la raccolta di firme per la petizione “Salva il caffè della Pace, no alla chiusura dell’antico caffè”, promossa dalla famiglia Serafini. Si può aderire recandosi direttamente in via della Pace, oppure online, tramite i siti www.firmiamo.it o www.change.org 

Ci auguriamo profondamente che questa vicenda possa concludersi nel migliore dei modi, e cioè riuscendo, in qualche maniera, a salvaguardare questo locale che tanto ha contribuito allo sviluppo culturale di Roma.

Ancora: La raccolta firme e l’impegno istituzionale hanno fortunatamente incontrato la ragionevolezza del rettore del Pontificio Istituto Teutonico: nel corso di un incontro tenutosi il 24 marzo 2014 in prefettura, e al quale erano presenti anche l’assessore alla Roma produttiva, Marta Leonori, i senatori Daniela Valentini e Maurizio Gasparri e il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, il rettore, riconoscendo il grande valore storico e culturale del Caffè della Pace, avrebbe deciso di mantenere l’attuale destinazione d’uso dei locali, godendo in tal modo anche del valore aggiunto che la presenza di un’attività storica conferisce all’immobile.

Purtroppo: nel 2016 purtroppo il Caffè della Pace è stato infine chiuso, nell’indifferenza delle istituzioni, comprese quelle che avevano finto di interessarsi alla vicenda.

Saltimbocca alla romana


saltimbocca alla romana

Saltimbocca alla romana

Sai che a Roma… i saltimbocca alla romana sono un piatto intramontabile della tradizione capitolina?

Nonostante qualcuno metta in dubbio che l’origine del piatto sia romana al 100%, l’aver accompagnato generazioni e generazioni di Romani a tavola, nei pranzi domenicali o durante la settimana, in casa o in trattoria, fa rientrare sicuramente i gloriosi saltimbocca nell’elenco dei piatti tradizionali della città!

La preparazione è rapida e semplicissima, ma il risultato è degno dei migliori gourmet!

Prendi delle fettine di vitello non troppo grandi e piuttosto sottili. Battile per rendere la carne più tenera e, una volta spianate, mettici sopra una fettina di prosciutto e una bella foglia di salvia lavata e asciugata. Il prosciutto non dovrebbe essere eccessivamente sottile: in caso mettilo doppio. Ferma il tutto con uno stuzzicadenti, lasciando però la fettina distesa (non va creato un involtino. Qualcuno lo fa, ma… è un orrore!!!).

Sciogli in padella una noce di burro e metti quindi le fettine a cuocere a fuoco vivace, iniziando dal lato con il prosciutto e facendo bene attenzione che non cuocia troppo: il prosciutto tende ad avvizzire rapidamente e rischia di rendere il piatto troppo salato! Quindi gira e continua la cottura, aggiungendo un pizzico di sale (la quantità dipende anche dal tipo di prosciutto usato) e una macinata di pepe. Togli la carne dalla padella adagiandola su un piatto da portata. Versa nella padella mezzo bicchiere di vino bianco secco (ok, ok, nella ricetta originale si usa un po’ d’acqua, ma così è più gustoso!) e fai evaporare staccando il fondo di cottura con un cucchiaio di legno (oggi con le padelle antiaderenti non avremo esattamente il risultato che si otteneva una volta…! Probabilmente avrai ben poco da staccare). A questo punto aggiungi un altro pezzetto di burro, facendolo sciogliere.

La salsetta così formata andrà ovviamente a ricoprire le nostre gustose fettine, che… ci salteranno in bocca senza troppi complimenti! Buon appetito…

Il pizzardone

Pizzardone-domenico-cucchiariSai che a Roma… i Vigili Urbani vengono chiamati “Pizzardoni”?

Il termine “Pizzardone” con cui a Roma si indicano i Vigili Urbani, deriva dal tipico copricapo nero a due punte (volgarmente detto pizzarda da pizzo, punta) che, nell’Ottocento, era parte integrante dell’uniforme delle guardie civiche e che proprio per la sua forma veniva chiamato con lo stesso termine con cui si indicava il beccaccino, uccello acquatico dal becco lungo e acuto. La pizzarda era fatta di feltro, e al centro potevano essere applicate delle piume di cappone, in posizione e quantità variabili in base al grado.

Nell’Ottocentro era previsto inoltre che i pizzardoni portassero anche dei caratteristici stivaloni, chepizzarda-o-beccaccino furono invece ribattezzati “sorbettiere” in quanto ricordavano i recipienti stretti e profondi in cui si manipolava il gelato!

E il pizzardone, negli anni, è anche stata una proficua fonte di ispirazione: a partire dalla commedia “Er pizzardone avvelito” del drammaturgo e studioso di usi romani Giggi Zanazzo, passando per il falso pizzardone Mandrake – Gigi Proietti in Febbre da cavallo e senza dimenticare, ovviamente, il più famoso di tutti: Otello Celletti, nella magistrale interpretazione del grandissimo Alberto Sordi nel film “Il vigile”, di Luigi Zampa (1960). E ancora il regista Mauro Bolognini, nel 1956, mise insieme un cast di eccezione, con Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Gino Cervi e realizzò “Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo”, ambientato in realtà proprio nel Corpo dei Vigili Urbani.

La Girandola di Castel Sant’Angelo – 29 giugno

Girandola di Castel Sant'AngeloSai che a Roma… per la festa patronale dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, a partire dal 2008 è stata riportata in vita la tradizione della Girandola di Castel Sant’Angelo?
Straordinari fuochi d’artificio partono da Castel Sant’Angelo e si specchiano sul fiume, regalando ai Romani e ai fortunati turisti che possono assistervi uno spettacolo davvero indimenticabile.
Attenzione: dal 2016, a dispetto della tradizione, la Girandola viene organizzata in piazza del Popolo, con i fuochi che partono dalla terrazza del Pincio. Solo a Roma la Girandola di Castel Sant’Angelo si fa a piazza del Popolo!

L’origine di questa tradizione risale al XV secolo e più precisamente al 1481, quando fu introdotta per celebrare e dare fasto al pontificato di Sisto IV, che volle poi iniziare a usare la Girandola di Castel Sant’Angelo per festeggiare gli eventi solenni che si svolgevano a Roma. Ad occuparsi della manifestazione, troviamo nomi importanti, che ci danno subito l’idea della dimensione e della spettacolarità che l’evento ricopriva: furono infatti artisti come Michelangelo, Bernini e Vespignani a ideare ed elaborare, perfezionandola, questa pioggia di fuoco che strabiliò e che continua a strabiliare chiunque vi assista. E non a caso la Girandola, già all’epoca, richiamava spettatori provenienti da tutta l’Europa. Ne parla Charles Dickens, mentre Piranesi la raffigura nelle sue stampe e Giuseppe Gioachino Belli le dedica addirittura un sonetto (lo riportiamo qui sotto).

La Girandola continuò a estasiare il pubblico fino al 1886 (1861 o 1870 secondo altre versioni, ma questa sembra la più attendibile), quando lo spettacolo dovette essere sospeso a causa dei danni e delle lesioni che le ripetute esplosioni provocavano alle decorazioni (stucchi e pitture) delle sale sottostanti la Terrazza dell’Angelo. E’ divertente scoprire che la passione per lo spettacolo era tale da sacrificare anche i documenti curiali conservati nell’Archivio Pontificio: parte di essi furono infatti sacrificati senza indugio per realizzare i cartocci di polvere pirica!

Dal 2008 questo tripudio di luci e colori è stato riportato in vita seguendo una accurata ricostruzione filologica, effettuata dal cav. Giuseppe Passeri del Gruppo IX Invicta: le stesse miscele dei fuochi, che si iniziano a preparare già da marzo, sono realizzate secondo le prescrizioni e le formule dei maestri del Rinascimento. La tradizione però si accompagna alla più moderna tecnologia, con sofisticate centraline radio che permettono il controllo dell’accensione dei fuochi in completa sicurezza. Così lo stesso Passeri parla dello spettacolo della Girandola di Castel Sant’Angelo: “La Girandola da sempre è palcoscenico in cui i più grandi geni di architettura, scenografia e ingegneria si esibiscono anno dopo anno. Attività pirotecnica a Roma è armonia, mescolare effetti. Non si tratta del solito fuoco di paese, il quadro pirotecnico cambia ogni minuto, praticamente uno spettacolo mai visto. Ho fatto di tutto per rendere possibile la rievocazione di questo spettacolo, c’è grande sensibilità verso questo evento proprio perché si differenzia da tutte le altre manifestazioni ed è unica nel suo genere”.

La Girandola del 2017 a piazza del Popolo. Post di Alessandro Calabresi

Una prima rievocazione “pilota” fu in realtà eseguita, sempre dal Passeri, già nel 2006, quando la Girandola fu organizzata sul Colle Vaticano per celebrare i 500 anni dall’istituzione della Guardia Svizzera Pontificia. Esperimento riuscito! 

Nel 2016 e nel 2017 però, per qualche strano motivo, si è deciso di allestire la tradizionale Girandola invece che a Castel Sant’Angelo, sulla terrazza del Pincio, con il pubblico radunato in piazza del Popolo. Sicuramente suggestivo, ma… niente più a che vedere con la tradizione!

Altra tradizione legata alla festività dei SS. Pietro e Paolo e che dal 2011 è stata recuperata è quella dell‘Infiorata.

 

La birra dei Romani antichi

birra4-300x225Sai che a Roma… già i Romani antichi conoscevano la birra? In realtà la birra era conosciuta già molto prima dei Romani… ed è nata per caso!

L’orzo, di cui la birra è composta, è stato il primo cereale coltivato dall’uomo. Dalla coltivazione all’idea di creare delle riserve, il passo fu breve, ma  vermi e roditori, che cercavano a loro volta di sfruttare queste scorte, resero necessarie alcune sperimentazioni! Tra le prove di conservazione messe in atto, si giunse quindi al tentativo di mettere i grani d’orzo nell’acqua. La natura fece il suo corso, e i lieviti il loro lavoro: l’intruglio così creato iniziò a fermentare, e gli effetti benefici ed “euforizzanti” di questa specie di birra primordiale furono subito apprezzati dall’uomo, ed anzi attribuiti a un superiore intervento divino.

Le prime attestazioni certe riguardanti la birra (che però doveva essere nata molto prima, probabilmente intorno al VII millennio a.C.)  risalgono ai Sumeri, addirittura nel 3.700 a.C. (anno più, anno meno…!),  in un documento (una tavoletta d’argilla conosciuta come “monumento blu”) che menziona la birra tra i doni offerti alla dea Nin-Harra. Sappiamo inoltre che i Sumeri consumavano birre di diversi tipi, e che avevano già una legislazione in materia di birre: il Codice di Hammourabi (1728-1686 A.C.) prevedeva addirittura la condanna a morte (per annegamento) per chi non avesse rispettato le leggi sulla  fabbricazione e per chi avesse aperto un locale di vendita senza autorizzazione.

I Babilonesi proseguirono e affinarono la tradizione birraia  dei Sumeri, arrivando a produrre ben 20 varietà di birra.

Anche gli Egizi erano grandi estimatori e consumatori di birra, tanto che nella loro cultura riconoscevano a Osiride, protettore dei morti, il merito dell’invenzione della bevanda, chiamata zythum. Della birra esaltavano le proprietà curative , e l’arte di produrre birra era insegnata nelle scuole superiori ancor prima della lettura e della scrittura.

I Greci di certo, pur non producendola, non ignorarono la birra, che chiamavano, mutuando il nome direttamente dagli Egizi, zythos. Essa veniva consumata in special modo nel corso delle cerimonie tutte al femminile in onore di Demetra, gran Madre della Terra, nonché in concomitanza con i giochi olimpici, durante i quali il consumo di vino era proibito.

E veniamo ai Romani. Nell’antica Roma la birra era una bevanda conosciuta e consumata, ma in realtà fu sempre il vino a farla da padrone: la birra era infatti considerata una bevanda pagana e plebea, tanto che lo storico Tacito, nell’87 d.C., paragona la birra consumata dalle popolazioni germaniche al vinus corruptus, cioè andato a male! Non tutti erano dello stesso parere, però, in quanto sappiamo che alcune ville erano dotate di piccole birrerie private! Lo stesso Augusto apprezzò la birra, se non come bevanda almeno come medicinale, in quanto proprio grazie ad essa il suo medico Musia lo curò dal mal di fegato. E ancora sappiamo che Nerone fece un ampio uso di birra, che riceveva  in dono da Silvio Ottone,  marito della celebre Poppea, che l’Imperatore aveva sapientemente spedito in Portogallo per potergli rubargli la moglie indisturbato!  Era ovviamente birra della penisola iberica, la cerevisia, e Nerone fece addirittura giungere a Roma uno schiavo lusitano, abile mastro birraio, che gli preparasse la graditissima bevanda. E del resto il termine “birra” deriva proprio dal verbo latino bibere (bere), mentre cerveca, la parola con cui si indica la birra in Spagna, deriva la sua matrice dalla dea latina Cerere (Ceres in latino, e non è un caso che sia anche il nome di una nota birra…!), che altri non è (ulteriore “coincidenza” non casuale!) se non il corrispettivo latino della dea greca Demetra. Inoltre Plinio, nel XXXVII libro della Naturalis Historia ci informa su un particolare impiego della birra nella cosmesi femminile per la pulizia del viso e come nutrimento per la pelle. Nonostante l’altalenante successo di cui godette nella nostra penisola e a Roma, nelle aree periferiche dell’Impero la birra continuò ad essere prodotta, e, ovviamente, le popolazioni germaniche e dei territori non adatti alla coltivazione della vite, introdussero importanti novità nella pratica brassicola.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, in Italia “caddero” anche la produzione e il consumo di birra, che nel periodo medievale rimase confinata quasi esclusivamente all’ambito monastico, finché, nel 1527, essa non fu reintrodotta nel corso del famigerato sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi. Il suo consumo continuò comunque a trovare ampie resistenze fino alla metà del XIX secolo. A quest’epoca risalgono infatti le prime fabbriche artigianali, tra cui quella, famosissima, di Giovanni Peroni.