1 Mar, 2017 | Mangiare & Bere
Sai che a Roma… puoi gustare il caffè direttamente in un’antica torrefazione, a un passo dal Pantheon?
Stiamo parlando del Caffè Tazza d’Oro, “La casa del Caffè”, in via degli Orfani, 84. Non a caso si tratta di uno dei bar più famosi di Roma, sia per la qualità dei suoi prodotti che per l’atmosfera storica.
La torrefazione Tazza d’Oro fu fondata nel 1946 da Mario Fiocchetto de Saint Arnaud, il quale già dai primi del Novecento aveva altri tre caffè su via Nazionale, ma che grazie a questo nuovo locale entrò definitivamente nella Storia di Roma. A quei tempi il caffè veniva importato crudo direttamente dai paesi d’origine, senza intermediari, e il signor Mario, con passione e serietà, iniziò una lunga serie di viaggi in sud-America per conoscere di persona i coltivatori di caffè e per selezionare i chicchi migliori. Quando tornò a Roma, era ormai un vero esperto di caffè, al punto di creare egli stesso una miscela, “La Regina dei Caffè”, che è tutt’oggi una delle più apprezzate nel mondo. La passione di Mario si è trasmessa per 4 generazioni, ognuna delle quali ha contribuito a perfezionare la miscela originaria, e ancora oggi Natalia Fiocchetto porta avanti questa “aromatica” tradizione.
Il Caffè Tazza d’Oro è molto frequentato, sia per la sua posizione che per i suoi prodotti rinomati, ma anche perché, passeggiando per la piazza del Pantheon o per i vicoli circostanti, è proprio il profumo del caffè tostato che porta dritti dritti fino al locale! Infatti tra i frequentatori c’è una grande varietà: esponenti politici, professionisti, casalinghe, attori, turisti, artigiani… A volte i turisti lamentano l’assenza di tavoli, che li priva della possibilità di indugiare nelle sale che conservano ancora l’allestimento degli anni Cinquanta e un’atmosfera esotica e retrò, ma in fondo l’abitudine del caffè al banco è tipicamente italiana, e dopo un primo momento di smarrimento, anche loro iniziano ad apprezzarla!
Rispetto all’origine del nome “Tazza d’Oro”, la tradizione vuole che il fondatore non abbia assolutamente voluto legare il marchio al nome di famiglia, ritenendo che una simile strategia fosse troppo svilente per il caffè, che lui amava e rispettava, e troppo autocelebrativa! Il riferimento a una tazza d’oro gli sembrò invece un buon modo per diffondere e comunicare l’eccellenza della sua produzione.
Tra le specialità servite nell’area bar, oltre ai 10 diversi tipi di caffè, la più celebre è sicuramente la granita di caffè, normalmente servita con panna sopra e sotto e a prezzi che, considerata anche la zona, risultano più che onesti. Bisogna però ricordare anche la cosiddetta Monachella, un caffè in tazza grande ricoperto di panna montata, o ancora il Parfait de Cafè, ancora preparato secondo l’antica ricetta, recuperata dopo un periodo in cui la produzione del gustoso semifreddo era stata interrotta.
Anche gli appassionati di tè, comunque, non resteranno delusi, perché per loro è presente una vasta gamma di scelta, con tè rari e pregiati provenienti dalla Cina, dall’India e dal Giappone.
Nell’area destinata alla vendita, sarà facile perdersi tra il profumo e il fascino delle 27 miscele di caffè, i vari tipi di tè, il caffè crudo venduto in grani. Puoi acquistare caffè torrefatto, macinato o anche in cialde (chiamate “Cialde Reginella”), immergendoti nel fascino delle drogherie di una volta e scoprendo le antiche macchine da tostatura. Altri prodotti, consigliatissimi anche per fare dei regali originali, sono poi i chicchi di caffè ricoperti di cioccolata, il tipico liquore al caffè chiamato “Aroma di Roma”. E, ovviamente, sono in vendita anche le tazzine con il marchio Tazza d’Oro, diventate ormai quasi un oggetto di culto!
Insomma, sai che a Roma… questo è proprio un posto da non perdere?
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6 Mar, 2014 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… Er conte Tacchia era un popolare personaggio dei primi del Novecento?
Il suo vero nome era Adriano e nacque nel 1860 in una casa in piazza dell’Orogio di proprietà di Filippo Bennicelli. La famiglia era diventata piuttosto agiata grazie al commercio del legname. Per questo Adriano, che aveva un atteggiamento eccentrico, scanzonato e da gran signore, fu soprannominato “er conte Tacchia” (infatti a Roma TACCHIA significa scheggia di legno).
Sempre elegantissimo, con tight, bombetta e guanti bianchi, il conte TACCHIA girava per Roma in carrozzella, pretendendo strada da tutti e dispensando a chi lo intralciava parolacce e scapaccioni. Il Conte è il simbolo della città umbertina, tutta volta all‘apparenza e allo snobismo. Egli però, per la sua franchezza e generosità e per il suo spirito sempre volto al divertimento e alla battuta, fu molto amato dai romani. Morí il 21 dicembre 1925.
Alla sua figura si ispira un noto film di Sergio Corbucci (1982), “il conte Tacchia” (qui però il nome del conte è Francesco – Checco Puricelli), con Enrico Montesano, Vittorio Gassman e Paolo Panelli.
4 Mar, 2014 | sai che a Roma...
A. Pinelli, Ultima sera del Carnevale (1833)
Sai che a Roma… nella tradizione del Carnevale Romano, il giorno di martedì grasso i festeggiamenti di via del Corso si chiudevano con la Battaglia dei Moccoletti?
I Moccoletti erano delle candele accese, con intorno un piccolo cono di carta che ne riparava la fiamma. Nel corso della battaglia bisognava riuscire a spegnere i moccoli degli altri, evitando che qualcuno spegnesse il proprio. Lo sventurato che si faceva spegnere la candela, doveva subire ingiurie e prese in giro di ogni tipo senza poter replicare.
Il grande Giggi Zanazzo, nel suo “Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma” (1908) non avrebbe potuto non parlare di questa popolarissima festa e descrive la Battaglia dei Moccoletti con queste parole:
“L’urtimo ggiorno de Carnovale ammalappena sonava l’Avemmaria (anticamente sparava puro er cannone), tutti quelli che sse trovaveno p’er Corso, sii a ppiede, sii in carozza, sii a ccavallo, sii a le finestre, accennéveno li moccoletti.
Poi co’ le svèntole, co’ li mazzettacci de fiori, o co’ le cappellate, ognuno cercava de smorza’ er moccolo all’antro, dicènno: – Er móccolo e ssenza er móccolo!-
Avevi voja, pe’ ssarvallo, de ficcallo in cima a una canna o a un bastone, o a fficcatte in un portone! Era inutile. Tutti te daveno addosso; e o ccor un soffietto, o ccor una svèntola o cco’ ’na manata o ’na mazzettata te lo smorzaveno in ogni modo, urlanno: – Er móccolo e ssenza er móccolo; abbasso er móccolo!”.
2 Feb, 2014 | sai che a Roma...
Targa in via della Minerva.
“Fin qui crebbe il Tevere e già del tutto sommersa sarebbe stata Roma se la Vergine non avesse qui recato la sua celere opera”
Sai che a Roma… vogliamo condividere questa chicca? Si tratta di un brano di un cantastorie del Cinquecento, tratto da un codice dell’epoca, contenente la narrazione della spaventosa inondazione che il 7 ottobre 1530 colpì la città (in realtà una targa in via della Minerva ascrive l’evento all’8 ottobre, ma del resto l’alluvione si verificò di notte…). In quell’occasione il Tevere raggiunse 18,95 m. Morirono circa 3.000 persone e più di 300 case andarono distrutte.
Diluvio di Roma che fu a VII d’Ottobre l’anno MDXXX in tempo di papa Clemente VII.
Spirti gentili che in sonoro carme
Cose bramate udir’ altiere e nove
attentamente ognun prego ascoltarme
e sia sempre con voi l’eterno Giove.
Un caso strano non d’amor o d’arme
ma che ogni duro core al pianger move.
Chi sera di pietà sì nudo in tutto
che possa ritenere il viso asciutto?
Voi sentirete in doloroso Idioma
che la mia Lira in pianto si riversa
Di quella afflitta e sconsolata Roma
che è sta’ dal proprio fiume suo sommersa.
Et l’acqua s’innalzò sopra la chioma
d’ogni alta torre, sì che è guasta e persa
ogni bellezza sua, piena è di lezzo
quella che si nutriva in piume al rezzo.
Ettore Roesler Franz, La via Fiumara, nel Ghetto, inondata. Acquerello. Data presunta: ante 1883
Bisognarebbe ordir lungo volume
narrar dil danno la millesima parte.
La notte comenciò spargere il fiume
ruppe ripari fatti con grand’arte
e nanti lo apparir del chiaro lume
l’Acque per tutta Roma erano sparte
in tanta copia che ogni strada un mare
parea, e con barche si potea solcare.
Sparse per l’acqua le Reliquie sante
tempii, palazzi e case roinate
tanti huomini son morti e donne tante
che non han fine, e assai bestie annegate.
Robbe per l’uso umano quali e quante
e vettovaglie son sott’acqua andate;
non vi si pò abitar per anni cento
si chel nome di Roma in tutto è spento
Da un codice cinquecentesco.
1 Feb, 2014 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… il 2 febbraio, in occasione della festa religiosa della cosiddetta Candelora (a Roma “Cannelòra”), un famoso detto recita così?
Si c’è er sole o fa gragnòla
de l’inverno semo fora.
Ma si piove o tira vento
de l’inverno semo drento
In pratica, la tradizione popolare sostituisce il servizio meteorologico, informandoci che in caso di sole o di grandine (gragnòla) possiamo stare sicuri che l’inverno volge ormai al termine. Se invece il tempo dovesse risultare piovoso o ventoso, per la bella stagione bisognerà avere ancora un po’ di pazienza!
Un 2 febbraio uggioso è invece interpretato in modo più pessimistico e funesto in un altro modo di dire:
Cannelòra mesta mesta,
o disgrazia o tempesta.
Ricordiamo che la Candelora è una festa cristiana istituita nel V secolo ad opera di papa Gelasio I (492-496 d.C.), con l’intento di sovrapporsi alla cerimonia pagana dei Lupercali, che cadeva il 15 febbraio (fu poi l’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, ad anticiparla al 2 febbraio). La festa, a cui era associata una processione penitenziale (come nella migliore tradizione ecclesiastica!), ricorda la presentazione di Gesù al tempio e conclude il ciclo liturgico del Natale. A Roma, tradizionalmente, la processione che aveva inizio presso la chiesa dei santi Luca e Martina dopo che il papa, secondo una tradizione nata in Francia intorno all’anno Mille, aveva distribuito al popolo e ai cardinali le candele accese (ed ecco perché candelora…). Ancora oggi il rituale prevede che nelle chiese vengano distribuite candele benedette che, secondo una consolidata tradizione popolare, avrebbero una speciale funzione di protezione contro le tempeste, la caduta dei fulmini e gli spiriti maligni. I ceri benedetti erano e talvolta sono tutt’oggi conservati nelle case con un sentimento misto di devozione e superstizione, per essere accesi in occasioni particolari, per placare l’ira divina, durante violenti temporali, aspettando il ritorno di qualcuno caro, al capezzale di un moribondo, durante le epidemie o i parti difficili.
Per un certo periodo in questa stessa data si celebrò anche la purificazione di Maria, avvenuta, secondo la tradizione ebraica, 40 giorni dopo il parto. Più tardi però, con il concilio vaticano II, la festa è tornata ad assumere l’originario carattere cristologico.
E sai che invece negli Stati Uniti e in Canada… il 2 febbraio è il giorno della Marmotta? La consuetudine vuole che il 2 febbraio si osservi la tana di una marmotta e, se questa uscendo non vedrà la sua ombra perché il tempo è nuvoloso, significa che l’inverno è agli sgoccioli; se, al contrario, la marmotta si spaventerà della sua stessa ombra tornando nella tana, bisognerà aspettarsi ancora sei settimane di freddo! La tradizione del Groundhog Day (questo il nome originale) è nata in Pennsylvania, in un paese chiamato Punxsutawney: è esattamente il posto in cui è stato girato il famoso film con l’attore Bill Murray, costretto a rivivere continuamente la stessa giornata. Come dimenticarlo…