26 Giu, 2017 | Cosa Fare
Girandola 2016 a piazza del Popolo
Sai che a Roma… giovedì 29 giugno, per l’11º anno, torna la Girandola? Romani e turisti potranno assistere all’incredibile de “La Maraviglia del Tempo“?
La celebre Girandola di Castel Sant’Angelo si tiene nel giorno della festa dei SS. Pietro e Paolo, patroni della Capitale, e recupera una tradizione del XV secolo che fu da subito molto amata e ammirata (scopri la Storia della Girandola di Castel Sant’Angelo).
Dal 2016 purtroppo, lo scenario di questo evento particolarmente amato e suggestivo è stato trasferito in piazza del Popolo, con i fuochi sparati dalla terrazza del Pincio. Senza nulla togliere alla magnificenza della nuova location, sembra davvero un peccato mortale riprendere un’antica tradizione come quella della Girandola, perfezionata da artisti quali Michelangelo e Bernini, e spostarla impunemente. Non credi?
Quest’anno il consueto spettacolo di fuochi d’artificio in sincronia musicale sarà preceduto da due pre-eventi: una regata sul Tevere organizzata dai circoli storici della città e un’esibizione della Banda dei Granatieri di Sardegna e Reggimento Lancieri di Montebello.
Il programma della Girandola, organizzata dal Gruppo IX Invicta, è il seguente:
PROGRAMMA
ore 17.00 Regata dei circoli storici presso il Ponte Margherita – Banchina Regina Margherita lato Ripetta
ore 20.30 esibizione della Banda dei Granatieri di Sardegna e Reggimento Lancieri di Montebello, entrambi in tenuta d’epoca
ore 21.30 Spettacolo pirotecnico, in sincronia musicale su repertorio di musica classica, allestito sulla terrazza del Pincio.
Il pubblico è invitato ad assistere allo spettacolo da Piazza del Popolo.
Ti ricordiamo infine che in occasione della Festività dei SS. Pietro e Paolo, un’altra tradizione romana (ripristinata dal 2011) è quella dell‘Infiorata in piazza Pio XII.
Dove: piazza del Popolo – Roma
Quando: giovedì 29 giugno 2017 dalle ore 21.30 (durata circa 20 minuti). Pre-eventi dalle ore 17.00
Web: www.nonainvicta.it
Ingresso libero
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25 Giu, 2017 | Cosa Fare
Sai che a Roma… l’incanto dell’Infiorata a San Pietro torna anche quest’anno?
Recuperando l‘antica tradizione (clicca per saperne di più) che proprio a Roma, nel 1625, ha visto nascere la delicata e spettacolare arte dei Maestri Infioratori, giovedì 29 giugno, giorno in cui si festeggiano i SS. Pietro e Paolo (i due santi patroni della città), piazza Pio XII si coprirà di 50 riquadri floreali, estesi anche lungo un tratto di via della Conciliazione. Un’area di 3.000 metri quadrati che oltre 1.000 Maestri Infioratori giunti da tutta Italia inizieranno a ricoprire di petali già a partire dal pomeriggio del 28 giugno (con taglio dei fiori e preparazione dei materiali già dalla mattina), perché alle 7.00 del 29, tutto dovrà essere pronto!
Per realizzare le opere dell’Infiorata è previsto l’impiego di svariate centinaia di migliaia di fiori, ma anche di qualche tonnellata di sale colorato e di trucioli e segatura. I soggetti raffigurati saranno di soggetto religioso, ma potrebbe esserci qualche eccezione relativa ai loghi degli enti che prendono parte alla manifestazione.
Da quando questa usanza è stata recuperata, nel 2011, sono passati solo 7 anni, ma questo appuntamento, come quello della Girandola di Castel Sant’Angelo, è già entrato a pieno titolo tra gli appuntamenti imperdibili dell’estate capitolina.
Quando: 28 – 29 giugno 2017
Dove: Piazza Pio XII e via della Conciliazione
Info: info@prolocoroma.it Telefono: +39 06 89928500
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20 Giu, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… si avvicina la notte delle Streghe?
Il 24 giugno infatti è la festa di San Giovanni Battista, ma tradizionalmente i festeggiamenti, in un misto di sacro e profano, avevano inizio già durante la vigilia, a partire dal tramonto del sole e proseguendo per tutta la notte: la notte delle Streghe.
Si racconta infatti che le streghe, recandosi a Benevento per il tradizionale sabba sotto il famoso noce, fossero solite fermarsi a Roma per raccogliere proprio tra i prati del Laterano alcune particolari erbe sbocciate in quella notte e necessarie ai loro incantesimi. Tra queste erbe legate alla Notte di San Giovanni una particolare importanza rivestivano l’iperico, detto anche erba di San Giovanni, l’artemisia, o assenzio volgare, dedicata alla dea Diana-Artemide, la verbena e il ribes rosso.
Durante la Notte di San Giovanni le Streghe, andando in giro, erano solite catturare le anime che incontravano sul loro percorso, e per poterle osservare senza correre pericoli erano quindi necessari alcuni accorgimenti: tenere in mano una testa d’aglio e una scopetta erano sicuramente scaramanzie indispensabili, insieme alla celebre “spighetta” (cioè una spiga di lavanda) e al tradizionale “garofoletto” (garofano).
Nella Notte delle Streghe, da tutti i Rioni le persone si riversavano intorno alla Basilica di San Giovanni e a quella di Santa Croce in Gerusalemme. Le osterie che si trovavano in zona (la piú famosa era Faccia Fresca), insieme alle baracche e ai tendoni che spuntavano per l’occasione, facevano affari d’oro servendo le tradizionali lumache, servite con un sugo di aglio, olio, alici, pomodoro e peperoncino. L’uso di consumare le lumache aveva un significato particolare: le corna infatti, per il loro essere divergenti, rappresentavano le discordie e le contrarietà (solo in un periodo successivo presero a simboleggiare il tradimento), e mangiarle con gli altri equivaleva a seppellire nello stomaco tutti i contrasti, i dissapori e le preoccupazioni accumulati durante l’anno, per giungere quindi alla riconciliazione, distruggendo le avversità.
Durante la festa si provvedeva a illuminare ogni cosa con tutti i mezzi possibili, dalle candele di sego alle torcie a vento, fino ai grandi falò accesi tra Santa Croce e San Giovanni (i famosi falò di San Giovanni), mentre d’obbligo era anche fare rumore con trombe, trombette, campanacci, tamburelli e petardi: il fine, ovviamente, era sempre quello di spaventare e allontanare le Streghe (con la luce e i rumori) impedendo loro di raccogliere le pericolose erbe.
Per evitare che le Streghe di passaggio entrassero nelle case mentre si era alla festa, si usava invece questo particolare stratagemma: sull’uscio, uscendo, si rovesciava una manciata di sale grosso e si appoggiava alla porta una scopa di saggina (o due scope incrociate, secondo una versione ancora più prudente!): le Streghe, malefiche ma anche curiose, si sarebbero fermate a contare i grani di sale e i fili di saggina, rimanendo cosí impegnate fino a che non fosse spuntato il sole a farle fuggire. E per sicurezza anche il camino veniva chiuso con un setaccio.
Una consolidata tradizione riconosce in due delle streghe nientemeno che Erodiade e Salomé, coloro che convinsero Erode Antipa a far decapitare il Battista; per questo sarebbero state condannate a vagare per il mondo su una scopa, chiamando le altre Streghe presso il Laterano proprio in occasione cella commemorazione del Santo.
L’inizio della festa, fino al 1870, era segnalato, al tramonto, dalle artiglierie di Castel Sant’Angelo, che sparando a salve e in modo festoso segnalavano ai Romani che era giunto il momento di recarsi verso i prati che, all’epoca, caratterizzavano la zona intorno alla Basilica.
La notte di San Giovanni aveva poi anche un importante ruolo “sociale”, in quanto era un momento perfetto di incontro e un’occasione, per le giovani coppie aiutate dalla confusione e dal buio, per passare un po’ di tempo insieme, romanticamente stesi sull’erba. Generalmente l’area intorno alla Basilica di Santa Croce era quella prescelta per questi piccoli idilli. Questa notte poi, scambiarsi fiori tra persone di sesso diverso assumeva un’importanza e un significato assoluti, creando un vincolo eterno, quello del comparato o comparatico (anche se in qualche caso il rapporto prendeva una piega meno platonica…), tramite il quale tra il compare e la comare veniva sancito ufficialmente un rapporto di fiducia reciproca.
La conclusione della festa, le cui origini hanno radici lontanissime, da ricercarsi in antichi riti legati al Solstizio e praticati per l’inizio dell’estate (a cui poi il cristianesimo sovrappose, come era consuetudine, la festività religiosa cristiana), si aveva la mattina del 24, quando all’alba il papa, annunciato da altri colpi di cannone, giungeva “in treno di mezza gala” a celebrare la messa nella Basilica di San Giovanni, e non prima che, secondo la tradizione, avesse elargito dalla Loggia, gettandole tra la folla scatenata, monete d’oro e d’argento alla popolazione.
Tutta nottata era ovviamente scandita da musica, canti, balli e improvvisazioni canore, con tarantelle, saltarelli, stornelli a volontà, finché nel 1891 non si arrivó ad organizzare un vero e proprio concorso della “canzonetta romana” , che divenne subito molto popolare: il primo anno, in pieno tema con la serata, a vincere fu “Le streghe” (clicca per ascoltare), con versi di Nino Ilari, musica di Alipio Calzelli e interpretata da un esordiente Leopoldo Fregoli. Altre magnifiche canzoni presentate al concorso furono, solo per citare qualche esempio, “Nina si voi dormite” (1901), “Barcarolo Romano” (1926) e “Affaccete Nunziata” (1893).
Fino alla Prima Guerra Mondiale la manifestazione continuò, raccogliendo sempre un grande consenso. Tra le due guerre riprese, ma come festa del Dopolavoro; successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, si è tentato più volte di riportala all’antico splendore, ma sempre senza ottenere i risultati sperati: ormai la festa sembra non riuscire a ritrovare la poesia, la meraviglia e l’entusiasmo che la caratterizzavano.
Godiamoci insieme la narrazione che di questa notte particolarmente amata dai Romani ci ha lasciato Giggi Zanazzo (poeta dialettale di fine Ottocento – inizi Novecento e grande studioso delle tradizioni del popolo romano):
“La viggija de San Giuvanni, s’ausa la notte d’annà come sapete, a San Giuvanni Latterano a pregà er Santo e a magnà le lumache in de l’osterie e in de le baracche che se fanno appositamente pe’ quela notte. For de la Porta, verso la salita de li Spiriti, c’era parecchi anni fa, l’osteria de le Streghe, indove quela notte ce s’annava a cena. A tempo mio, veramente, nun se faceva tutta ‘sta gran babbilogna che se fa adesso. Ce s’annava co le torce accese e co’ le lanterne, perché era scuro scuro, allora, pe’ divuzzione davero e pe’ vedè le streghe. Come se faceva pe’ vederle? Uno se portava un bastone fatto in cima a furcina [cioè biforcuto n.d.r.], e quanno stava sur posto, metteva er barbozzo [mento] drento a la furcina, e in quer modo poteva vedè benissimo tutte le streghe che passaveno laggiù verso Santa Croce in Gerusalemme, e verso la salita de li Spiriti. Pe’ scongiuralle, bastava de tienè in mano uno scopijo [scopetta di saggina], un capodajo e la spighetta cor garofoletto. S’intenne che prima d’uscì da casa, de fora de la porta, ce se metteva la scopa e er barattolo der sale. Accusì si una strega ce voleva entrà nu’ lo poteva, si prima che sonasse mezzanotte nun contava tutti li zeppi de la scopa e tutte le vaghe der sale. Cosa che benanche strega, nun je poteva ariuscì; perchè, si se sbajava a contà, aveva d’aricomincià da capo. Pe’ nun faccele poi avvicinà pe’ gnente, bastava mette su la porta de casa du’ scope messe in croce. Come la strega vedeva la croce, er fugge je serviva pe’ companatico! Presempio, chi aveva pavura [paura] che la strega j’entrassi a casa da la cappa der cammino [camino], metteva le molle e la paletta in croce puro là, oppuramente l’atturava cor setaccio de la farina.
Un passo addietro. Er giorno se mannava in parocchia a pijà una boccia d’acqua santa fatta da poco, perché l’acqua santa stantìa nun è piú bona; e prima d’uscì da casa o d’annassene a letto, ce se benediveno li letti, la porta de casa e la casa. Prima d’addormisse se diceva er doppio credo, ossia ogni parola der credo si repricava du’ vorte: io credo, io credo, in Dio padre, in Dio padre, ecc., e accusì puro se faceva de l’antre orazzioni. Nun c’è antra cosa come er doppio credo pe’ tienè lontane le streghe! Ammalappena, poi se faceva ggiorno, er cannone de Castel Sant’Angelo, che aveva incominciato a sparà da la viggija, sparava diversi antri colpi, e allora er Papa, in carozza de gala, accompagnato da li cardinali e dar Senatore de Roma, annava a pontificà, ossia a di’ mmessa in de la chiesa. Detta messa, montava su la loggia che dà su la piazza de San Giuvanni Latterano, dava la benedizzione e poi buttava una manciata de monete d’oro e d’argento. Quando er giorno de San Giuvanni sorge er sole, s’arza ballando. A tempo mio, er giorno de San Giuvanni, usava de fa’ un pranzo fra li parenti, ossia fra compari e commari pe’ fa’ in modo che si c’era un po’ de ruggine fra di loro s’arifacesse pace co’ ‘na bona magnata de lumache” (Giggi Zanazzo, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma).
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24 Giu, 2014 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… una volta si raccoglieva la Rugiada di San Giovanni?
La festa di San Giovanni (24 giugno), oltre che alla celebre Notte delle Streghe, è legata anche ad altre tradizioni popolari. In particolare molto famosa era la Rugiada di San Giovanni, raccolta proprio la notte della festa del santo.
Per la tradizione cristiana la rugiada di San Giovanni rappresenta le lacrime che Salomè versò dopo essersi pentita di aver provocato la decapitazione del Battista. Durante questa crisi di rimorso, e mentre piangendo la donna copriva di baci la testa mozzata del Santo, un fortissimo vento iniziò a uscire dalla bocca del Battista, fino a spingere in aria Salomè, condannandola a vagare in aria per espiare la sua colpa.
Una versione leggermente differente e più “pulp” ci racconta di una Salomè che, vistasi consegnare la testa di San Giovanni, spinta da un istinto macabro e voluttuoso, si sarebbe chinata a baciarne le labbra esangui. In entrambe le storie comunque, il vento fa finire la regina per aria! Solo che in questa seconda versione, le lacrime potrebbero essere viste, più che come un segno di pentimento (del quale non c’è traccia…), come lacrime di disperazione per il destino che la attende!
La rugiada sembra avere preziose virtù in diversi ambiti: aiuta a realizzare i propri desideri, per cui se un oggetto che rappresenta il nostro desiderio, o la stessa persona desiderata, si coprono della rugiada di San Giovanni, il gioco è fatto! Alla rugiada di San Giovanni viene poi attribuito il potere (fortunatamente oggi non più considerato di grande utilità) di pulire i panni dalle pulci, e anche quello di vivere un anno in buona salute.
Ecco spiegato perché in tutta Italia era tradizione raccogliere la rugiada della notte di San Giovanni. Per procurarsi questo liquido miracoloso si usava stendere un panno sull’erba, per strizzarlo la mattina successiva raccogliendo il prezioso liquido, oppure si raccoglievano le gocce utilizzando un telo impermeabile con un foro centrale: sotto il foro, e possibilmente all’interno di una buca, veniva posto un recipiente in cui andavano a confluire le gocce di rugiada che scivolavano dalla superficie del telo.
Per farsi bagnare dalla rugiada, poi, le persone trascorrevano la notte all’aperto, sui prati.
E dalle proprietà benefiche della rugiada, ha tratto anche origine il detto popolare: “Manco la rugiada de San Giovanni je dà de barba!”, usato in riferimento a qualcuno che non si può più guarire. L’espressione “dare di barba” si riferiva all’usanza di tirare la barba a qualcuno per schernirlo, ma è qui usata anche nel senso di non avere efficacia, non scucire un baffo.
Tu conosci altre tradizioni legate alla festa di San Giovanni?
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15 Mag, 2014 | sai che a Roma...
Palla di cannone nella chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina
Sai che a Roma… c’abbiamo le palle?
A Roma alcune palle di cannone sono state conservate e sono considerate preziosi reperti storici.
La prima è la cosiddetta “palla del miracolo“, visibile all’interno della chiesa di San Bartolomeo all’Isola (l’Isola è quella tiberina, ovviamente, e, a prescindere dalla palla di cannone, vale davvero la pena di farci un salto!). Vanta un diametro di 14 cm e fu sparata dai Francesi (a Roma chiamati Franzosi!) nel tentativo di mettere fine all’esperimento della Repubblica Romana del 1849. Partita dalla via Aurelia, la cannonata si abbattè contro la chiesa, attraversando il muro e finendo la sua corsa sull’altare della Cappella della Vergine. Il tutto avvenne in un momento in cui la chiesa era affollatissima, ma fortunatamente non ci furono vittime (ecco perché “palla del miracolo”). Il proiettile è stato murato nella parete sinistra della Cappella e ad esso è stata aggiunta una epigrafe commemorativa.
Un’altra palla, anch’essa sparata dai Francesi, andò invece a schiantarsi sulle scale di marmo del Salone d’Onore di Palazzo Colonna ed è visibile visitando la Galleria. In questo caso pare che essa, sparata dal Gianicolo, sia entrata da una finestra aperta.
Palla di cannone sul fianco di sinistro della chiesa di San Pietro in Montorio.
Palla di cannone all’ingresso di Villa Pamphili.
Ma ci sono ulteriori “regalini” lasciatici dai Francesi nel 1849, come ci ha segnalato su Facebook l’amica Marina Fiorenti. Uno è la palla di cannone commemorata da una targa sul fianco sinistro della chiesa di San Pietro in Montorio, lungo via Garibaldi. Ha qualcosa di perverso, a pensarci bene, il fatto che l’eroe dei due mondi, titolare della strada, debba continuare a convivere con questo cimelio della battaglia che infranse il sogno della Repubblica Romana!
Altri due proiettili (sparati nel corso della stessa battaglia, ma non necessariamente dai Francesi!) si trovano invece nel travertino a sinistra del cancello d’entrata di Villa Pamphili. L’ingresso in realtà fu realizzato dall’architetto Andrea Busiri Vici nel 1861-63, quindi dopo la battaglia del Gianicolo e dopo che quella che all’epoca dell’assedio era Villa Corsini fu annessa a Villa Pamphili. Queste due palle, quindi, sono effettivamente risalenti alla battaglia, ma non si trovano nel preciso punto di… atterraggio! Secondo i Monteverdini, se esprimi un desiderio toccando una palla di Villa Pamphili, esso si realizzerà. Vale la pena di andare a provare: nella peggiore delle ipotesi, ci avrai guadagnato una bella passeggiata!
Il portone di Villa Medici
Ritroviamo una palla di cannone anche a Villa Medici, sul Pincio. A sparare, in questo caso, pare sia stata la regina Cristina di Svezia, ma le motivazioni dell’incauto gesto sembrano avere origini discusse (ma sempre pertinenti a un carattere non propriamente facile della sovrana!): per alcuni la cannonata sarebbe stata un modo per manifestare la propria insofferenza di fronte al ritardo di un ospite che la regina stava aspettando e che doveva arrivare proprio da Villa Medici. Secondo un’altra versione, piuttosto accreditata, Cristina e il suo amico (forse amante…) cardinal Decio Azzolino avevano appuntamento a Villa Medici, ma il cardinale non si fece vedere. La regina allora, furiosa per il trattamento ricevuto (mai dare buca a una donna…!), si recò sulle terrazze di Castel Sant’Angelo e, da uno dei numerosi cannoni, sparò un colpo liberatorio verso la Villa! Per qualcuno, ancora, all’origine della cannonata sarebbero stati dei contrasti non meglio specificati creatisi tra la sovrana e la famiglia Medici. Infine, si dice anche che il colpo sia stato sparato, sempre da Cristina, in occasione di un appuntamento con il pittore Charles Errand: Cristina, pur essendo in ritardo, avrebbe trovato un modo speciale per dire all’amico che non si era dimenticata del loro incontro e, anzi, per manifestare la sua presenza nonostante si trovasse ancora piuttosto lontana (del resto, all’epoca non c’erano mica i cellulari…!). La palla sparata sarebbe la sfera marmorea che oggi fa da ornamento alla fontana seicentesca posta di fronte alla Villa (oggi sede dell’Accademia di Francia). In realtà, anche ammesso che la palla marmorea fosse rimasta integra nonostante l’impatto, nessuno dei cannoni in uso nel XVII secolo a Castel Sant’Angelo aveva una gittata tale da poter sparare un proiettile così pesante a 1,5 km di distanza. Sta di fatto però, che se andiamo a guardare il portone bronzeo di villa Medici (sì, è ancora quello originale!), noteremo un’ammaccatura alquanto singolare…!
Palla di cannone nelle Mura Aureliane
Per finire, un altro cimelio bellico si può individuare lungo le mura Aureliane, in Corso d’Italia, incastonato nella muratura della torre di fronte a via Po. Questa volta il contesto storico è quello dell’annessione di Roma al Regno d’Italia, nel 1870, con la dura battaglia tra l’esercito regio e quello pontificio, conclusasi con la famosa Breccia di Porta Pia. A distinguersi, durante lo scontro, non furono solo gli eroi del Risorgimento, ma anche le nostre mura: progettate per resistere ad assedi di entità ben minore, riuscirono a resistere all’artiglieria pesante per circa 5 ore!
Per dire la verità, un’altra cannonata andrebbe menzionata… però la palla di cannone non c’è più. A Palazzo De Carolis, in via del Corso, su una parete del cortile un’iscrizione ricorda il punto in cui, ancora durante l’assedio francese del 1849, arrivò una cannonata: UN COLPO DI CANNONE FRANCESE / LANCIO’ UNA PALLA IN QUESTO / LUOGO IL GIORNO 20 GIUGNO 1849 / ALLE ORE 3 3/4 POMERIDIANE / DEL CALIBRO DA 24. Anche se il proiettile è sparito, l’impronta è stata comunque raffigurata! La lapide invece fu fatta posizionare nel 1893 dal principe Ignazio Boncompagni Ludovisi, allora proprietario del palazzo.
Federica Macca ci segnala poi che a Roma è presente anche una fontana dedicata alle palle di cannone: