La medaglia con l’errore. La chiamata di San Matteo e il motto con l’errore (diametro mm 44).
Sai che a Roma… è stata rapidamente ritirata dal commercio la medaglia coniata per celebrare il primo anno di pontificato di papa Francesco?
Il motivo è che era presente un grossolano errore: nella scritta sul rovescio infatti “Iesus” è diventato “Lesus”…
Niente critiche né polemiche, un errore può capitare a tutti, comprese le persone che lavorano all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, ma… fa sorridere il fatto che nessuno, prima di mettere in commercio le medaglie, le abbia controllate!
La frase “incriminata” è tratta dall’Omelia 21 di san Beda il Venerabile e recita: VIDIT ERGO IESUS PUBLICANUM ET QUIA MISERANDO ATQUE ELIGENDO VIDIT, AIT ILLI SEQUERE ME (Gesù vide poi un pubblicano e, poiché lo guardò con sentimento di amore e di predilezione [=lo scelse], gli disse: seguimi).
[Testo preso da: Miserando atque eligendo: il motto di Papa Francesco].
Questo passo, inciso attorno alla raffigurazione della chiamata di Matteo, è molto caro a Bergoglio, in quanto legato a un importante episodio della sua vita: nel 1953 il papa aveva 17 anni e, il giorno della festa di san Matteo, avvertì nel suo cuore la misericordia divina e capì di essere chiamato a servire il Signore, secondo l’esempio di Sant’Ignazio di Loyola.
La medaglia, coniata in oro, argento e bronzo e opera dell’artista Mariangela Crisciotti è stata messa in vendita il 9 ottobre, e solo in pochi (solo 4, a quanto sembra), l’hanno acquistata prima che venisse ritirata dal commercio.
A collezionare errori, nella vita quotidiana, siamo in molti, ma chi di sicuro chi si è accaparrato questo errore qui, non ha sbagliato per niente: chissà quanto varrà, tra qualche anno…!
Foto di Fra Nicolaus, dalla bacheca della pagina facebook di Trastevere
Sai che a Roma… non ci mancano neanche le volpi?
Oggi (13 settembre) sulla pagina Facebook di Trastevere, interamente dedicata al XIII Rione di Roma e vero punto di riferimento per gli amanti di questo affascinante angolo di Roma, abbiamo fatto questa scoperta, e abbiamo subito pensato di condividerla anche con te!
Quella che vedi nella foto, è la volpe che ultimamente ha preso l’abitudine di visitare il giardino della chiesa di San Francesco a Ripa. Sembra che questa furbacchiona abbia iniziato a frequentare i lungofiume cittadini mentre era in corso la manifestazione estiva Lungo il Tevere, attratta dai rifiuti “mangerecci”, per poi arrivare a comprendere nel suo “territorio di caccia” anche il rione.
E la nostra amica è perfettamente a suo agio non solo nel tranquillo giardino della chiesa, ma anche nel traffico urbano: apprendiamo infatti dai commenti alla foto (scattata da Fra Nicolaus) che ieri mattina alle ore 8 la nuova diva del rione attraversava di gran carriera viale Trastevere, all’altezza di piazza Sonnino e del cinema Reale; alle 9.30 invece è stata avvistata in via Anicia, all’altezza della caserma Lamarmora, sede della polizia a cavallo.
Beh, che dire… sembra proprio che le strade cittadine non abbiano più segreti, per lei!
In ogni caso, anche se ci siamo già un po’ affezionati e ci piace molto l’idea di poterla incontrare tra i vicoli di Roma, ci auguriamo che decida presto di tornare in mezzo alla natura, in un habitat certamente più adatto a lei e dove, soprattutto correrà meno pericoli che nelle strade della Capitale…
Ancora una curiosità: non è la prima volta che alcune volpi vengono a visitare Roma.
Nel 2007 una volpe rossa di circa un anno, per qualche strano caso finì nei locali della redazione dell’Adnkronos.
Nel 2011 un altro esemplare decise di fare una gita culturale: l’animale fu trovato all’interno dei Mercati di Traiano, intrappolato nella cisterna rinascimentale con le anfore della collezione Dressel.
A ottobre del 2012 una volpe, forse investita da un’auto, si è rifugiata in un asilo comunale in zona Monte Mario ed è stata quindi salvata dai volontari dell’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali).
Alcuni filmati facilmente reperibili sul web testimoniano poi la presenza di una volpe nel quartiere di Primavalle a marzo del 2012, mentre un esemplare con i propri cuccioli è stato ripreso a luglio dello stesso anno.
Sai che a Roma… il vulcano di Fiumicino raddoppia?
Dopo l’ormai celebre vulcanetto di fango nato il 24 agosto tra lo stupore e, sì, anche l’ammirazione dei passanti, il fenomeno geologico, che si riteneva si sarebbe esaurito nell’arco di qualche giorno, non solo ha continuato ad espandersi, ma adesso ha addirittura fatto il bis!
Siamo sempre in via Coccia di Morto, e sotto gli occhi attenti degli esperti che ancora stanno monitorando la situazione, ecco che questa mattina, a un paio di metri dal primo piccolo vulcano (inizialmente interpretato come soffione), se ne è aperto un secondo. Ad fuoriuscire dal terreno, ancora gas e fango, ancora quell’odore acre, sulfureo, e un rumore particolarissimo. Al momento si ritiene che che questa seconda bocca eruttiva sia una derivazione della prima, ma, chissà… qui è tutto una sorpresa!
Tra gli scienziati sul posto, anche la vulcanologa Maria Luisa Carapezza, responsabile scientifico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, secondo la quale il gas, cercando una via di uscita dal terreno, avrebbe scavato e fratturato il terreno originando una seconda apertura.
Sai che a Roma… l’agro di Lanuvio restituisce nuove, importanti scoperte archeologiche? Questa volta però il merito della scoperta non è un vero e proprio merito! Infatti a individuare il sito non sono stati gli archeologi, né uno tra i numerosi gruppi di studenti di archeologia che l’estate popolano il nostro ricco Paese per apprendere quello che per loro, una volta tornati a casa e terminati gli studi, sarà un mestiere e che però stranamente, proprio in Italia, viene considerato poco più che un hobby stravagante (e come tale retribuito…).
A trovare il sito, dicevamo, sono stati i tombaroli, che con metal detector e ricetrasmittenti avevano iniziato a depredare l’area, prima di essere scoperti dal provvidenziale intervento della Guardia di Finanza.
All’interno di un’area privata lasciata incolta (circa 17.000 metri quadrati), murature romane in opus reticolatum e opus incertum e un’infinità di materiali: monete, reperti ceramici, elementi architettonici in marmo e piccole sculture in marmo e in pietra di natura religiosa. Il sito, attivo tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C., sembra interpretabile infatti come laboratorio per la realizzazione e la vendita di ex-voto da dedicare alla dea venerata nel vicino santuario di Giunone Sospita (Salvatrice) e sorge proprio lungo la via sacra che conduceva al tempio. Molti degli oggetti appaiono non-finiti, in quanto le rifiniture finali venivano realizzate in un secondo momento, in base alle richieste dell’acquirente. Un’usanza piuttosto comune, per esempio, era quella di dare ai volti delle statue le sembianze dell’offerente stesso.
Gli oggetti sono stati recuperati, e saranno affidati al Museo delle Navi di Nemi, diretto da Giuseppina Ghini, mentre un vero scavo archeologico verrà intrapreso dalla Soprintendenza archeologica del Lazio, guidata da Elena Calandra.
Ciò che invece non sarà più possibile recuperare sono i dati scientifici che il sito avrebbe potuto restituire se fosse stato scavato seguendo il metodo stratigrafico utilizzato dagli archeologi (ma non dai tombaroli, appunto…). Ci teniamo a precisarlo, perché spesso non è ben chiaro quale sia il ruolo dell’archeologo e in cosa questo professionista si differenzi da un tombarolo, a parte il non trafugare i reperti per venderli illegalmente… L’archeologo compie un lavoro di ricostruzione storica, riconoscendo e documentando in modo scientifico tutti gli indizi presenti sul terreno e interpretandoli per ricostruire le vicende di un sito. Gli oggetti ritrovati hanno per l’archeologo un valore che non c’entra nulla con quello commerciale: sono fondamentali indicatori cronologici, possono aiutare a ricostruire la destinazione d’uso di un ambiente, permettono di ricostruire gli scambi commerciali e culturali di una comunità antica, danno informazioni sulle tradizioni e sulla vita dei nostri antichi predecessori. Ma per fare tutto questo, i reperti devono essere studiati in relazione ai diversi strati di terra in cui si trovavano. Fare un buco a caso ed estrarre un oggetto non è fare archeologia. Questo differenzia l’archeologo dal tombarolo, e questo è il motivo per cui un sito depredato dai tombaroli è un pezzo di storia in meno per tutti.
Terminato questo sfogo fuori-tema, torniamo alla notizia…
Il sito si trova piuttosto vicino al Santuario di Giunone Sospita e non lontano da dove, già a luglio 2012, le Fiamme Gialle avevano interrotto un altro scavo clandestino relativo a una stipe votiva: con ogni probabilità la stipe in cui finivano gli oggetti prodotti nell’officina appena venuta alla luce. La scoperta è il frutto di un lavoro di indagine che dura da mesi e che, in quattro diverse operazioni delle Procure di Roma e Velletri, ha già consentito il recupero di circa 500 opere e alla denuncia di 5 persone. Ora, grazie all’operazione “Giunone”, il Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico di Roma, guidato dal tenente colonnello Gavino Putzu e dal maggiore Massimo Rossi, restituisce l’area alla Soprintendenza archeologica del Lazio che, con la guida di Elena Calandra, potrà proseguire in modo appropriato le indagini su questo strabiliante sito di indiscussa rilevanza scientifica.
Lo ricordiamo, più di 24.000 reperti sono stati recuperati, ma, senza nulla togliere al merito delle Fiamme Gialle, non possiamo che sospirare al pensiero di quanti ne siano già scomparsi, nei giorni precedenti, alla volta del mercato clandestino…
Sabato scorso (24 agosto 2013) è spuntato un soffione nella rotatoria di via Coccia di Morto a Fiumicino. Si era pensato a una sorta di geyser, poi era stato interpretato come una sacca di anidride carbonica. Si è continuato a monitorare la zona e ora, nonostante l’intensità del getto si sia ridotta, il diametro della buca si è allargato: siamo di fronte a un piccolo vulcano, da cui escono anidride carbonica, gas metano e ora anche del fango grigio e denso, mentre l’odore è quello tipico delle zone solforose. In pratica, è la stessa composizione che è cambiata, mentre i getti emessi raggiungono i 3 metri di altezza.
“Vulcanetto di fango”: così lo ha definito Maria Luisa Carapezza, vulcanologa dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dell’università Roma Tre.
Geologi e vulcanologi, insieme ai tecnici dell’Arpa e alla Protezione Civile, continuano a tenere sotto controllo il fenomeno e ritengono che a far emergere questo mini-vulcano possa essere stato uno smottamento del terreno. E chissà cos’altro verrà fuori…
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