26 Gen, 2014 | sai che a Roma...
Copia della statua di Marco Aurelio (piazza del Campidoglio, Roma)
Sai che a Roma… c’è una civetta sul cavallo di Marco Aurelio?
La civetta canterà preannunciando la fine del mondo e volerà via quando tutta la statua equestre di Marco Aurelio “scoprirà in oro”, cioè tornerà interamente in oro . Questo dice un’antica leggenda e da qui viene anche il modo di dire, ormai non più usato, “scoprì in oro come Marcurelio”, ovvero “essere alla fine”. La statua di Marco Aurelio è in bronzo dorato, e resta qua e là ancora qualche traccia di doratura. La civetta è proprio lì, tra le orecchie del cavallo, anche se in realtà non di una civetta si tratta, ma solo del ciuffo della criniera. Al momento della realizzazione della copia della statua equestre da esporre in Piazza del Campidoglio, i superstiziosi temevano che il gemello del Marco Aurelio potesse splendere nella sua nuova doratura, e quindi “scoprire in oro” e far avverare la profezia. Ma la doratura non fu realizzata, perché poteva ottenersi solo usando mercurio, sostanza altamente inquinante. E la civetta è ancora lì…
Ma da dove arriva la statua?
Si tratta di un originale in bronzo realizzato sotto lo stesso Marco Aurelio (161 – 180 d.C.) e collocato verosimilmente (ma al riguardo non si hanno notizie certe) al Foro Romano, oppure nella piazza circostante la Colonna Antonina e che ospitava il tempio dinastico degli Antonini stessi.
Si tratta dell’unica, tra le 22 statue che le fonti tardo-imperiali chiamano equi magni per le loro dimensioni maggiori del reale, che sia giunta integra fino ai nostri tempi. E sembra che questa fortuna gli derivi nientemeno che… da un equivoco scambio di persona!
Originale della statua di Marco Aurelio. Musei Capitolini, Roma
L’imperatore raffigurato infatti fu erroneamente ritenuto Costantino, il primo imperatore cristiano, e solo per questo riuscì a salvarsi da una redditizia fusione del prezioso metallo in cui era realizzata. La statua del resto, con certezza dal X secolo, ma probabilmente già dalla fine dell’VIII, si trovava al Laterano, l’area dove Costantino eresse la prima basilica cristiana, e fino alla fine del Quattrocento era nota come Caballus Constantini.
Un’altra e più fantasiosa tradizione identifica invece il cavaliere nel “grande villico”, cioè un grosso contadino, che secondo una leggenda riuscì a fermare un’invasione di barbari: il loro re infatti, ogni notte si allontanava, da solo, per fermarsi davanti a un albero e ascoltare il canto di una civetta. Approfittando dell’occasione, il contadino lo assalì e lo uccise, mentre i Romani invadevano l’accampamento nemico ormai privo della propria guida.
Nel 1538, per volere di papa Paolo III Farnese, la statua fu trasportata sul Campidoglio e fu Michelangelo, a cui venne affidato l’incarico di sistemare la piazza, a realizzare il basamento ancora oggi visibile di fronte al Palazzo Senatorio, a sostegno della copia della statua. In questa occasione fu anche istituita la carica onorifica di “Custode del Cavallo”, un nobile designato direttamente dal papa e la cui retribuzione era alquanto bizzarra: dieci libbre di cera, tre di pepe, sei paia di guanti, due fiaschi di vino e… confetti!
L’orginale è stato spostato nel 1981 per consentire un importante lavoro di restauro durato fino al 1988. Per preservare il bronzo antico dell’opera si decise di evitare che tornasse all’aperto e così, nel 1990, il Marco Aurelio è stato collocato provvisoriamente in un ambiente protetto nel cortile dei Musei Capitolini e successivamente spostato nel Giardino Romano, al primo piano del Palazzo dei Conservatori, opportunamente coperto con una copertura a vetrata.
Al suo posto, nel 1997, fu sistemata la riproduzione ancora oggi visibile.
22 Gen, 2014 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… ti auguriamo “d‘avecce er gregorio?”
Il termine “gregorio” usato nel senso di fortuna, deriva dal fatto che San Gregorio, insieme all’immaginario San Culàzzio, era il protettore delle persone fortunate al gioco. Infatti per indicare una situazione particolarmente propizia si dice anche “avecce San Gregorio pe’ protettore“.
E il santo viene chiamato in causa anche quando si vuole indicare che la fortuna sembra improvvisamente abbandonare chi invece ci faceva conto: in questo caso si potrà sentir dire “So’ finite le messe a San Gregorio!“. La chiesa di San Gregorio al Celio infatti era autorizzata a celebrare una messa per i ritardari, alle 13, offrendo loro, all’ultimo momento, la fortunata possibilità di non perdere la funzione ecclesiastica. Ma, dopo l’una, le messe finivano anche lì, cosí come la fortuna puó improvvisamente voltarti le spalle!
23 Ott, 2013 | sai che a Roma...
Spada da boia. Roma, Museo Criminologico
Sai che a Roma… questo modo di dire è legato a un aneddoto particolare?
“Chi se venne la spada, nun è boja” significa che chiunque rinunci alle armi, e quindi alla violenza, è una persona civile e di buoni sentimenti.
A raccontarci l’origine di questa locuzione è Giggi Zanazzo, nel volume Tradizioni popolari romane. La sua nascita risale ai tempi di papa Sisto V (papa dal 1585 al 1590), il quale aveva l’abitudine di mescolarsi alla folla in abiti civili o di semplice frate minore, per poter ascoltare indisturbato i commenti che il popolo faceva su di lui e sulla sua politica. E così, durante una di queste spedizioni, mentre sostava in un’osteria ebbe modo di vedere che un tamburino della sua scorta, per saldare il conto all’oste, stava vendendo la propria spada d’ordinanza. Al suo posto, rimise nel fodero una finta impugnatura con una lama di legno.
Il papa ebbe subito l’occasione di mettere in difficoltà il tamburino, perché il giorno seguente era prevista l’esecuzione di un gendarme pontificio che, abusando del proprio ruolo e della propria divisa, aveva commesso vari delitti e angherie. Il pontefice ordinò che a occuparsi dell’esecuzione, mediante il taglio della testa, fosse proprio il tamburino con la spada finta… Questi però non si perse affatto d’animo, e al momento di eseguire l’ordine gridò: “Dio mio, risparmiami la parte del boia… Fa’ che la mia spada diventi di legno!”. E quando sguainò l’arma, che effettivamente era di legno, tutti gridarono al miracolo.
Lo stesso Sisto V, di fronte a tanta arguzia e tanta audacia, non poté che ammirare lo scaltro tamburino, e finì addirittura per promuoverlo di grado!
21 Ott, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… un modo di dire diffuso soprattutto nell’Ottocento recitava “Chi s’impiccia, more co’ la pelliccia”?
Significa che le persone troppo intriganti sono destinate a fare una brutta fine: anche se nel frattempo sono riuscite a diventare ricche, tanto da potersi permettere di avere la pelliccia, moriranno con i vestiti addosso, e cioè di morte violenta e improvvisa.
Nel periodo delle lotte per la difesa della Repubblica Romana del 1849, questo modo di dire, già usato, conobbe una particolare fortuna, in quanto fu utilizzato come Pasquinata in coincidenza con il ritrovamento di alcuni cadaveri di soldati francesi, trucidati dalla popolazione dopo la caduta della Repubblica stessa.
Del resto, all’epoca tra romani e francesi non correva certo buon sangue… Si racconta che già durante le invasioni napoleoniche alcuni militari francesi fossero stati malamente uccisi e poi gettati nel Tevere dai romani: narrano le cronache che nel 1798 due ufficiali, in preda all’alcool, tentarono di violentare una bella popolana. La reazione fu immediata e i due furono squartati e appesi presso una macelleria. Sui cadaveri, un cartellino indicava quello che era il prezzo della carne di maiale.
In modo meno cruento, l’ostilità tra le due popolazioni è testimoniata anche da numerose pasquinate, come ad esempio quella del 1801 riferita all’arrivo a Roma dell’ambasciatore di Napoleone, un certo signor Cacault, accompagnato dall’addetto militare generale signor Saint Malot e dal segretario d’ambasciata signor Maury. In un quasi scontato gioco di parole italo-francese, il biglietto che fece la sua comparsa sul torso di Parione (cioè Pasquino) fu lapidario: “Cacò, S’ammalò, Morì”.
E per noi, restano modi di dire, racconti e piccoli motti scherzosi, che con i sentimenti espressi ci fanno vivere in un attimo quasi un secolo di storia con la stessa autorità e molto più sentimento di qualsiasi manuale!
3 Set, 2013 | Cosa Fare
Sai che a Roma… il primo sabato del mese (tranne che in agosto) è possibile visitare gratuitamente il Senato?
L’orario di accesso va dalle 10.00 alle 18.00, ma non è possibile prenotarsi, quindi preparati a fare un po’ di fila (ma, in genere, niente di terribile…)! La mattina dell’apertura del Palazzo al pubblico, a partire dalle ore 8.30 è sufficiente recarsi presso l’ingresso di piazza Madama, 11 e ritirare il biglietto gratuito. Ogni adulto potrà richiedere fino a 4 biglietti, mentre se si è minorenni si ha diritto a un solo biglietto (sarà un’agevolazione familiare in cui si presuppone che un adulto ritiri i biglietti per una famiglia standard di madre-padre-2 figli? Boh! Misteri burocratici…). Ritirando il biglietto si dovrà scegliere l’orario di ingresso, perché si entra solo a intervalli di 20 minuti. Quando sarà il tuo turno, il personale del Senato ti accompagnerà in una visita di circa 40 minuti, illustrandoti le sale di rappresentanza da un punto di vista storico e artistico, e mostrandoti anche i luoghi più suggestivi del Palazzo.
Una curiosità: sai che a Roma… Palazzo Madama, dal 1871 sede del Senato della Repubblica Italiana, deve il suo nome a Madama Margarita d’Austria? Ella, giovane vedova di Alessandro de’ Medici e poi moglie di Ottavio Farnese (nipote di papà Paolo III) vi abitó dal 1541 al 1550. Dopo varie vicende Clemente XIII, nel Settecento, adibì l’edificio a sede del tribunale, nonché di polizia. Ed è proprio da questa destinazione d’uso che a Roma il termine Madama sta ad indicare le forze dell’ordine!
Info: 06-67062177
E-mail: visitealsenato@senato.it (anche per info)
Se invece vuoi assistere a una seduta del Senato, qui scopri come fare.
Per finire, non è proprio la stessa esperienza, ma puoi visitare il Senato anche virtualmente a questo link.