29 Set, 2017 | sai che a Roma...
Palazzo Tuccimei, già Ornani, già de Cupis
Sai che a Roma… c’è una mano fantasma?
La storia della mano è legata a quella di Palazzo Tuccimei (ex de Cupis), una delle tante meraviglie di piazza Navona a cui si rischia di non prestare attenzione. Il lato posteriore del palazzo è visibile a destra della chiesa di sant’Agnese (guardando la facciata). L’edificio oggi ospita un bar-ristorante piuttosto in voga, ma una volta, nel Settecento e nell’Ottocento, qui aveva sede un famoso teatro dei burattini, il teatro Ornani (poi Emiliani), con le rappresentazioni dei pupi siciliani, che a Roma venivano dette infornate.
Stemma della famiglia de Cupis
La nascita del palazzo, però, risale al XVI secolo, quando Giandomenico de Cupis (nominato cardinale nel 1517) ampliò le proprietà che la famiglia aveva nell’area di piazza Navona già dal secolo precedente (quando da Montefalco si era trasferita a Roma), formando così l’attuale complesso. Lo stemma della famiglia de Cupis, caratterizzato da un ariete rampante, è ancora visibile sulla facciata del palazzo prospiciente via S. Maria dell’Anima, scolpito a bassorilievo sul grande portale bugnato.
Secondo le cronache seicentesche di Antonio Valena, uno dei pronipoti di Giandomenico sposò, nei primi anni del secolo, la giovane nobildonna Costanza Conti, famosa per la sua bellezza e soprattutto per quella delle sue mani, graziose e delicate. In un’epoca in cui i social network e gli allegati multimediali non esistevano ancora, un semplice ma pur sempre efficiente passaparola bastò a rendere quelle mani famosissime, al punto che l’artista Bastiano, che aveva il suo studio in via dei Serpenti (ed era pertanto chiamato “Bastiano alli Serpenti”) volle fare un calco in gesso di una di esse ed esporlo nella sua bottega, sopra un prezioso cuscino di velluto. Grande era la folla che, non potendo ammirare di persona le mani della donna, si recava a contemplare almeno la loro fedele riproduzione.
Un giorno anche un frate domenicano, predicatore in San Pietro in Vincoli, passando da quelle parti rimase affascinato da tanto splendore e commentò l’opera dicendo che quella mano era così bella, che se fosse stata di una persona reale avrebbe corso il rischio, per gelosia, di essere tagliata da qualcuno! La frase divenne celebre, e arrivò anche alle orecchie di Costanza, che effettivamente era la “persona reale” in questione! La donna ne rimase molto impressionata, soprattutto per il fatto che era stato un frate a pronunciarla, e lei, fortemente religiosa, si convinse che aver accettato di far realizzare il calco della sua mano, fosse stato un grave peccato di vanità.
Per espiare questa colpa e per timore della predizione, decise di rinchiudersi nel suo palazzo. Precauzione inutile, perché un giorno, mentre era intenta a ricamare, si punse un dito con l’ago; la ferita si infettò, e il dito iniziò ad andare in cancrena, finché i medici non furono costretti ad amputarle la mano ormai deforme. Forse a causa del dolore per quella perdita, forse, più probabilmente, a causa di una setticemia conseguente all’amputazione, la bella Costanza morì poco dopo.
Nelle notti di luna piena la sua mano, pallida e bellissima, continua ad apparire dietro uno dei vetri al primo piano dell’antico palazzo, lungo via di S. Maria dell’Anima. Il fantasma della donna, invece, sembra che faccia fugaci apparizioni lungo i muri della strada: secondo alcuni tenta invano di ricongiungersi alla sua mano, mentre per altri cerca semplicemente di vivere la vita che, dopo la segregazione in casa, non ha mai vissuto.
Negli anni a seguire, il palazzo continuò comunque ad essere celebre: infatti i de Cupis affittarono l’immobile a vari personaggi, sempre altolocati, e il diarista Spada ci racconta che tra questi, il principe Bozzolo, amante del gioco, lo trasformò, nella prima metà del XVII secolo, in una sorta di bisca clandestina. A confermarlo è anche un Avviso di Roma ufficiale:
Erasi da molti anni introdotto in Roma un abuso assai pregiuditievole al Buon Governo, et era che gli Ambasciatori Regi facevano tenere gioco pubblico o biscazza con darne gli utili ad alcuni famigliari, che l’affittavano poi ad altri per somme assai considerabili, onde nasceva che molti artisti, dediti al gioco, abbandonavano l’arte, vendevano tutti gli arnesi di casa et ornamenti delle mogli loro. Altri commettevano furti, anche qualificati, con sacrilegio, per fare in qualunque modo danari per giocare, et in capo all’anno tutto ciò che perdevano con la rovina delle proprie mani, andava in mano ai biscazzieri. Et essendo stato tollerato quest’abuso forse senza saputa dei Padroni, non poté fare a meno il governatore di dar conto che il Principe di Bozzolo, ambasciatore Imperiale, haveva aperto gioco in piazza Navona, nella casa dei de Cupis, dove egli habitava, il che pareva tanto maggior scandalo, in quanto che il sito era pubblico. Diede perciò ordine che fossero carcerati quelli che vi andavano a giocare e fu prontamente eseguito con qualche amaretudine del Sig. Ambasciatore, che si doleva della partialità, cioè che fosse tollerato ad altri quello che con tanto rigore si negava a lui. Promise non di meno di levar il gioco; ma vedendo che non si prendeva rimedio quanto agli altri, conforme gli era stato promesso, tornò anch’egli a far giocare, ma con segretezza.
Prima di estinguersi, i de Cupis si imparentarono con gli Ornani, che nel 1817 vendettero ai Tuccimei una porzione del palazzo. In breve tempo, ila famiglia finì per acquisire tutto il palazzo .Oggi una sola Tuccimei è rimasta ad abitare una parte dell’edificio.
A Palazzo Tuccimei è legata anche un’altra storia, riferita questa volta alla
piccola testa di marmo visibile sul lato del palazzo che affaccia su piazza Navona.
7 Mar, 2014 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… se fai una passeggiata al Ghetto, attorno alle rovine del Portico di Ottavia, potresti incontrare il fantasma di Berenice?
Percorrendo via del Portico di Ottavia, giunto in largo 16 ottobre 1943, ti troverai di fronte alcuni imponenti resti archeologici: si tratta della Porticus Octaviae, che l’imperatore Augusto fece erigere in onore di sua sorella Ottavia tra il 33 e il 23 a.C.
Nell’area, già dal II secolo a.C. esistevano due antichi templi, dedicati a Giunone Regina e a Giove Statore e racchiusi nella Porticus Metelli. Quest’ultima fu completamente rimpiazzata dalla costruzione augustea.
Settimio Severo e Caracalla (come ricorda anche l’iscrizione sull’architrave) ricostruirono al loro volta l’edificio. La parte che oggi puoi vedere è l’atrio centrale da cui si accedeva al portico, un tempo rivestito di marmo.
Tra le colonne che sostengono il timpano, noterai che è presente un arco in mattoni: quest’arco è di epoca medievale, quando tra le colonne della Porticus si svolgeva il mercato del pesce più famoso della città, tanto che la stessa chiesa di S. Angelo, che si intravede dietro le colonne, era detta di S. Angelo in Pescheria (nella chiesa, la Cappella del Sacramento ospita un dipinto del Vasari).
La presenza di un mercato del pesce in questo luogo non è casuale, del resto, se consideri che il porto di Ripetta, uno dei più importanti del Tevere, era proprio qui vicino! Adesso guarda bene la targa che si trova tra i laterizi che chiudono lo spazio tra le colonne: c’è scritto che tutte le teste di quei pesci che avessero superato la lunghezza della targa, dovevano essere consegnate ai Conservatori della città (una specie di sindaci dell’epoca…). La testa era infatti una delle parti più pregiate, con cui si insaporivano (e si insaporiscono tutt’oggi…) le zuppe di pesce, e questa stana imposizione era molto semplicemente una forma di tassazione!
Prima di parlare del Fantasma di Berenice, però, vogliamo ricordarti un’altra cosa! Guarda bene l’area e lo spazio tra le colonne… non ti viene in mente nulla?
E se ti dicessimo di pensare al film “Un Americano a Roma”, con l’indimenticabile Alberto Sordi? Esatto! La scena in cui lui fa il gangster fingendo di sparare al metronotte con le dita! “E sto a scherza’… So’ scariche!” 🙂 Il posto è proprio questo!
Ma Alberto Sordi non è l’unico ad aver scelto questa zona come… set!
Ad aggirarsi per il dedalo di vicoletti del Ghetto, tra le rovine del Portico d’Ottavia e l’area antistante il Teatro di Marcello (e sappi che Marcello era il figlio di Ottavia, quindi nipote di Augusto…) c’è anche la bellissima Berenice, o meglio, il suo fantasma.
Berenice era la bellissima figlia di Erode Agrippa, detto il Grande. Nell I secolo d.C. la donna, sui cui trascorsi amorosi circolavano voci non troppo lusinghiere, intraprese un’intensa storia d’amore con il futuro imperatore Tito; quest’ultimo era stato mandato in Terra Santa da suo padre, Vespasiano, per sedare alcune rivolte. Tito rase al suolo Gerusalemme e nel 71 d.C. tornò a Roma vittorioso (proprio a questo trionfo fa riferimento l’Arco di Tito nel Foro Romano), portando con sé, al suo fianco, la bella ebrea.
Fin qui, nulla di strano. Anzi, la “preda amorosa” ben si addice a un valoroso condottiero, e considerata la bellezza della donna, poco importa che sia di 21 anni più grande del futuro imperatore. Il problema nasce quando Vespasiano capisce che Tito, quella donna, ha intenzione di sposarla…!
Introdurre un’estranea nella linea di successione imperiale non è ammissibile, tanto più se ebrea! Le discussioni tra Tito e il padre continuano, il tempo passa, e alla fine Vespasiano muore. A quel punto Tito, forse per onorarne la memoria, forse perché ormai stanco di quella storia storia travagliata, si decide ad allontanare da Roma Berenice.
Il fantasma della donna, secondo la leggenda, continua a vagare intorno al Portico d’Ottavia, luogo da cui, nel 71 d.C. partì la processione trionfale che celebrava il successo militare del “suo” Tito. E sembra che lo spettro, afflitto e sconsolato, continui a ripetere “Ecco, per questo potere, ormai ridotto in rovina, tu mi hai sacrificata…!”
N.B.: attualmente i resti del portico sono coperti dalle impalcature per i restauri… (impalcature parzialmente rimosse a dicembre 2016)