22 Lug, 2013 | Mangiare & Bere, sai che a Roma...
Sai che a Roma… tra i caffè storici c’è anche il caffè Rosati in piazza del Popolo?
Benché non sia esattamente tra i caffè più antichi della della capitale, il caffè Rosati in piazza del Popolo ha comunque acquisito lo status di “storico” sia per l’importanza che ha assunto nell’ambiente culturale romano del Novecento, sia per una ormai effettiva sopravvenuta anzianità che è, in ogni caso, di tutto rispetto: l’apertura di Rosati risale infatti al 1922!
Negli ultimi tempi, purtroppo, il caffè Rosati ha spesso raggiunto gli onori della cronaca a causa dei suoi prezzi che, pur considerando la posizione più che privilegiata , risultano davvero eccessivi, lasciando ai clienti l’amara sensazione di essere finiti nell’ennesima trappola per turisti. L’ultimo episodio risale a pochi giorni fa, con 17,55 euro pagati per due caffè e una micro-bottiglietta d’acqua.
Di sicuro sono lontani i tempi in cui lo sceneggiatore Ugo Pirro, come lui stesso raccontò, poteva sedersi ai tavolini, incontrare Pasolini ed Elsa Morante, e non ordinare neanche un bicchiere d’acqua!
Nonostante la deprecabile caduta di stile del locale, ci sembra comunque il caso di ripercorrere la storia di questo luogo cosmopolita e stimolante, che ha accolto i protagonisti della cultura italiana letteraria ed artistica di gran parte del XX secolo, assistendo alla nascita di dibattiti, idee, soggetti e intere sceneggiature e che ha dato ospitalità alle menti più feconde che si trovavano a Roma.
All’inizio del Novecento, al posto del caffè Rosati, c’era una semplice ma apprezzata latteria, che aveva già inaugurato una tradizione legata alla freschezza e genuinità dei suoi prodotti. Nel 1922 due fratelli acquistarono la latteria, trasformandola. Essi non erano né inesperti, né sprovveduti, in quanto facevano parte di quella famiglia Rosati che aveva già aperto, nel 1911, un caffè (anch’esso caffè Rosati) piuttosto frequentato in via Veneto; ben presto quindi, il loro divenne uno dei caffè più famosi di Roma. Già dagli anni Trenta iniziò ad annoverare, tra i propri affezionati, i pittori della vicina via Margutta e, in qualche occasione, sembra che anche il grande Trilussa abbia sostato tra questi tavoli. Se fino alla metà degli anni Quaranta i luoghi preferiti dagli intellettuali romani erano il caffè Aragno e il caffè Greco, Rosati iniziò ben presto ad affermarsi come una valida alternativa, raggiungendo nel secondo dopoguerra l’apice della popolarità. Uno dei primi letterati che scelsero Rosati come luogo preferito per le proprie riunioni colte fu il poeta Vincenzo Cardarelli. Negli anni Cinquanta e Sessanta era frequente incontrare Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia con la moglie Elsa Morante, tanti cineasti e artisti come Giosetta Fioroni, Angeli, Festa e Schifano. Ancora,
Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini al caffè Rosati di piazza del Popolo
nel tempo, citiamo i nomi di Talarico, Mazzacurati, Flaiano, Franco Monicelli, Trombadori, De Chirico, Guttuso, Bartoli, Maccari, Libonati, il gruppo del Mondo, e spesso anche Rossellini. Non era raro trovarci Fellini, che veniva a incontrare Flaiano, Simone de Beauvoir che parlava fitto fitto con Sartre, Carlo Levi, Vittorini, Cascella, Marina Lante della Rovere, Luccichenti, Vittorio Caprioli, Mazzarella, Franca Valeri, Gassman, Bernardo Bertolucci… Questa speciale commistione tra arte, letteratura, cinema ha fatto di questo luogo un polo culturale di primissima categoria. Almeno fino agli anni Settanta, quando iniziò una sorta di decadenza, non solo dei caffè, ma, per certi versi, anche della cultura in generale (e forse non ne è estraneo lo strapotere che sempre più inizierà ad assumere la televisione…). Il pittore Bruno Caruso racconta che Flaiano e Mezzocamino, guardando dalla piazza la nuova clientela di Rosati, composta ormai da giovani capelloni che avevano come massima aspirazione quella di partecipare come controfigura a qualche film western italiano, abbiano commentato, sprezzanti: “Credono di essere noi!”
Da Rosati si andava per l’aperitivo, mentre le signore della buona borghesia si fermavano spesso per un tè pomeridiano o, la domenica mattina, dopo la messa, per comprare le paste (le pastarelle, a Roma!). L’estate, poi, le chiacchierate dopo cena, al fresco del ponentino, magari con un gelato o sorseggiando una bibita, erano quasi un obbligo. All’una e mezza o alle due Rosati chiudeva, ma erano altri tempi, e i tavoli potevano essere lasciati fuori, così discorsi, progetti e discussioni potevano proseguire, tra i più nottambuli, fino alle tre o alle quattro di mattina.
L’interno del locale era, ed è, elegantemente arredato, con ricche boiserie e mobili pregiati. Anche i lavori di ristrutturazione hanno rispettato l’antico allestimento, lasciando ogni cosa esattamente al suo posto, tanto che i mobili sono stati fatti restaurare a Firenze, dove erano stati fabbricati! Il Trombadori non mancò di sottolineare l’evento della riapertura con i seguenti versi:
S’ariapre Rosati, allegramente!
M’ero messo pavura che chiudeva
domani invece ce sarà più gente
de quanta prima già se lo godeva.
In tempi de talento scarseggiante
un Caffè con la Storia su le mano
è un richiamo
‘no specchio stimolante
Un’ultima curiosità, è ancora legata all’eclettico Flaiano e alla sua pungente ironia. Egli infatti diceva che davanti a Rosati c’era sempre una buca con la scritta “Lavori in corso” e che per capire di quali lavori si trattasse, sarebbe stato necessario svelare i segreti politici della città!
Insomma, a restare sempre uguali non sono solo i mobili di Rosati…
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Antico Caffè della Pace
14 Lug, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… puoi potevi (il bar è stato purtroppo chiuso nel 2016) prendere un caffè e fare una pausa rilassante all’Antico Caffè della Pace? E’ uno dei caffè storici di Roma, ed esiste dal 1891, nonostante alcune testimonianze, come, ad esempio, alcune incisioni di G.B. Piranesi, documentino la sua esistenza già dal secolo precedente. Si trova alle spalle di piazza Navona, in via della Pace 3/7, accanto alla chiesa di Santa Maria della Pace, con la sua facciata progettata da Pietro da Cortona, e il celebre chiostro del Bramante.
L’Antico Caffè della Pace, noto anche, più semplicemente, come Bar della Pace, cattura subito ogni sguardo grazie al suo magnifico porticato rivestito di edera, dall’effetto quasi magnetico nei confronti dei turisti stanchi, ma anche dei Romani e di chiunque sappia godersi la vita riuscendo a ritagliarsi i giusti tempi per vivere le bellezze di una città come Roma.
E così dovette essere fin dal XIX secolo, quando il caffè fu eletto come punto di incontro di molti artisti e intellettuali, politici e personaggi dello spettacolo: a partire dallo scultore Thorwaldsen (e anche questa tradizione conferma l’esistenza del caffè già prima del 1891, visto che lo scultore morì nel 1844!) e altri artisti danesi, fino ai pittori della Scuola Romana come Scipione, Mafai, Guidi, Trombadori, Francalancia. Insieme a loro, anche poeti come Ungaretti e Caproni e varie personalità della cultura del Novecento, tra cui i registi Monicelli e Bolognini o ancora, come racconta il paparazzo Barillari, i pittori Schifano, Testa, Angeli e Fioroni. In questo Caffè nacque anche la Transavanguardia: siamo agli inizi degli degli anni ’80 e di sicuro il merito va anche, in parte, al locale che agevolò i fecondi incontri tra il critico Bonito Oliva e i pittori Cucchi, Clemente e Paladino. In tempi più recenti, anche alcuni personaggi dello spettacolo non hanno potuto resistere al fascino dell’Antico Caffè della Pace: Madonna e Spike Lee, per esempio, hanno approfittato delle magnifiche suggestioni di questo locale carico di storia.
La famiglia Serafini, proprietaria del caffè (ma non delle mura…) da circa 40 anni, ha contribuito a mantenere intatta l’atmosfera dell’epoca, conservando intatto il fascino del particolare arredamento (un misto di stile liberty, barocco e Impero), capace ancora oggi di evocare i frequentatori di un tempo e di rendere più sensibili e ispirati anche gli avventori di oggi (tranne rari e irrimediabili casi…!).
L’ambiente interno, dotato di 3 incantevoli salette, è arredato, oltre che dal bancone, con tavolini, divani e sedie, statue e colonne, ma quello che più richiama l’attenzione è la ricca suppellettile d’epoca, che finisce per moltiplicarsi nel gioco di luci e di rimandi creato dalle antiche specchiere (un’attenzione particolare va rivolta al vecchio, straordinario registratore di cassa).
Purtroppo il 10 giugno del 2013 la famiglia Serafini ha ricevuto lo sfratto dal proprietario dello stabile, il Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima. Il contratto di locazione è infatti scaduto dal 2009, e l’ente non ha voluto rinnovarlo: sembra che l’edificio sia destinato a diventare un albergo. Al momento, molti cittadini, diverse associazioni e alcuni esponenti politici si stanno attivando per evitare che un’altra importante Bottega Storica, come è il Caffè della Pace, debba cessare l’attività, perdendo con essa un pezzo di Storia della Capitale.
Leggi anche: Caffè della Pace, tutti in piazza contro lo sfratto (link esterno)
Aggiornamento: Sentenza definitiva. Il 27 febbraio 2014, nonostante appelli, raccolte di firme e manifestazioni di solidarietà, il Bar della Pace ha ricevuto lo sfratto definito. La giustizia, del resto, si occupa di far applicare le leggi… con buona pace di Storia, cultura, tradizioni e turismo! Se al suo posto sia davvero previsto un albergo, non si sa: l’istituto religioso ha scelto la strada del silenzio, nel tentativo di rispondere all’inevitabile clamore che sta seguendo la notizia dello sfratto. Uno sfratto legale, e una vicenda nella quale sembra non sia possibile raggiungere una soluzione di compromesso, che possa evitare la chiusura dello storico locale. La stessa proposta presentata dalla senatrice Daniela Valentini, con la quale si vorrebbero equiparare le le botteghe storiche ai beni monumentali, non potrà certamente essere approvata in tempi utili ad evitare lo sfratto del Caffè della Pace. Una proposta arriva dall’assessore al Commercio Marta Lenori, la quale suggerisce che in un eventuale albergo che dovesse aprire in questo edificio, si potrebbe pensare di inglobare l’Antico Caffè della Pace. Al momento, si continuano ad organizzare manifestazioni volte a riportare l’attenzione pubblica su questa spinosa vicenda, ma per il resto, sembra proprio che si possa sperare solo nella sensibilità culturale della proprietà dell’edificio.
Una mozione per salvare lo storico bar arriverà presto in Campidoglio, mentre prosegue la raccolta di firme per la petizione “Salva il caffè della Pace, no alla chiusura dell’antico caffè”, promossa dalla famiglia Serafini. Si può aderire recandosi direttamente in via della Pace, oppure online, tramite i siti www.firmiamo.it o www.change.org
Ci auguriamo profondamente che questa vicenda possa concludersi nel migliore dei modi, e cioè riuscendo, in qualche maniera, a salvaguardare questo locale che tanto ha contribuito allo sviluppo culturale di Roma.
Ancora: La raccolta firme e l’impegno istituzionale hanno fortunatamente incontrato la ragionevolezza del rettore del Pontificio Istituto Teutonico: nel corso di un incontro tenutosi il 24 marzo 2014 in prefettura, e al quale erano presenti anche l’assessore alla Roma produttiva, Marta Leonori, i senatori Daniela Valentini e Maurizio Gasparri e il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, il rettore, riconoscendo il grande valore storico e culturale del Caffè della Pace, avrebbe deciso di mantenere l’attuale destinazione d’uso dei locali, godendo in tal modo anche del valore aggiunto che la presenza di un’attività storica conferisce all’immobile.
Purtroppo: nel 2016 purtroppo il Caffè della Pace è stato infine chiuso, nell’indifferenza delle istituzioni, comprese quelle che avevano finto di interessarsi alla vicenda.
8 Lug, 2013 | Mangiare & Bere
Renato Guttuso – Caffè Greco (1975) – Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
Sai che a Roma… il Caffè più antico è quello Greco?
Proprio così, il caffè più antico di Roma è l’Antico Caffè Greco, così chiamato in riferimento all’origine del suo fondatore, Nicola della Maddalena. Il caffè, come si legge sulla soglia, esiste almeno dal 1760 ed è non solo il più antico di Roma, ma anche il secondo più antico d’Italia (il primo è il Florian di Venezia): è così antico, in effetti, che l’Italia come la intendiamo oggi, non esisteva ancora (il Regno d’Italia nacque nel 1861 e Roma ne entrò a far parte nel 1870)! E come ricorda una targa posta all’ingresso del Caffè, fin dal 1953 il Ministero della Pubblica Istruzione ha dichiarato questo locale “di interesse particolarmente importante”. Nel 1806 il prezzo del caffè aumentò notevolmente a causa del blocco continentale imposto da Napoleone. Gli altri caffettieri di Roma, per paura di perdere la clientela, tentarono di mantenere costante il prezzo delle tazze di caffè, mischiando alla preziosa polvere farine di ceci, di soia o di castagne. Al caffè Greco invece si continuò ad usare sempre e solo puro caffè; il prezzo raddoppiò e la tazza diventò più piccola (quella che viene usata ancora oggi): l’aroma inconfondibile del vero caffè, però, decretò il successo definitivo del locale.
Il locale si trova nella centralissima via Condotti, al numero 86, ed entrandovi il profumo del caffè si mischia inevitabilmente con quello della Storia e dell’Arte: al suo interno sono esposte infatti più di 300 opere d’arte e cimeli storici, e le stesse sale, che oggi si presentano nel loro aspetto ottocentesco, sembrano ancora popolate dagli intellettuali, dagli artisti e dalle grandi personalità che negli anni le hanno frequentate, rendendo il Caffè il più importante punto di ritrovo per artisti e intellettuali che si trovavano nella capitale, stabili o di passaggio. Tra i numerosi avventori illustri, possiamo ricordare Hector Berlioz, Buffalo Bill, Vitaliano Brancati, Giacomo Casanova, Gabriele D’Annnunzio, Massimo D’Azeglio, Giorgio De Chirico, Lady Diana, Ennio Flaiano, Nikolai Vasilyevich Gogol, Edvard Grieg, Renato Guttuso, forse anche Giacomo Leopardi (che abitò lì a fianco), Carlo Levi, Aldo Palazzeschi, Cesare Pascarella, Andrea Pazienza, Franz Liszt, Arthur Schopenhauer, Stendhal, Toro Seduto, Renzo Vespignani, Richard Wagner, Orson Welles… moltissimi letterati, filosofi, pittori, scultori e musicisti contribuirono a fare del Caffè Greco il Caffè letterario per antonomasia.
Famosi e suggestivi sono poi i tavoli con marmi antichi, ognuno diverso dagli altri e attorno ai quali i camerieri, rigorosamente in frac, si muovono con la consueta professionalità per servire le specialità della casa.
Antico Caffè Greco
Nella celebre sala Omnibus, ogni primo mercoledì del mese, ancora oggi si raduna il Gruppo dei Romanisti, studiosi e accademici specializzati in studi relativi alla Capitale, che dal 1940, ogni anno, in occasione del Natale di Roma, pubblicano i loro lavori nella “Strenna dei Romanisti”.
Tra le varie curiosità, si ricorda che il Caffè Greco ha ispirato il pittore Renato Guttuso, che proprio a questo locale ha dedicato una sua celebre opera, esposta a Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza); la Sala Rossa è invece ritratta sulla copertina del 45 giri di Mia Martina “Minuetto/Tu sei così, del 1973. Numerosi sono poi gli aneddoti o i racconti che riguardano alcuni dei personaggi che animavano il caffè: lo scrittore Stendhal (vero nome Henry Beyle) sarebbe giunto nel Caffè alla ricerca del pittore Stefano Forby, che, a quanto gli avevano riferito, gli somigliava moltissimo e che della caffetteria era un abituale cliente. E qui infatti lo scrittore lo trovò, restando però molto male nel constatare quanto il pittore fosse brutto…! Anche su Casanova, ovviamente, c’è un racconto… Si dice che un giorno, quando era un giovane abate, fu chiamato all’interno del caffè dal cardianale Gama, che lì si trovava con alcuni abati. Casanova scambiò per errore un famoso castrato lì presente (tale Giuseppe Ricciarelli, alias Beppino della Maremma) per una donna vestita da uomo. Quando il cardinale Gama, spiegando l’equivoco, glielo presentò, al bel Casanova fu subito proposta una notte di passione, con l’opportunità di poter svolgere sia un ruolo attivo che passivo!
Sulla qualità del caffè e della pasticceria, come è normale che sia in fatto in gusti, ci sono pareri discordanti, ma quello su cui tutti sono d’accordo è che, nonostante i prezzi sostenuti, una sosta all’Antico Caffè Greco sia un’esperienza da fare!
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27 Giu, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… “un asino non può spostare un cavallo”?
La Fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale ha una lunga storia ed è legata anche a un famoso aneddoto e a qualche divertente pasquinata.
Alla fine del XVI secolo, sotto il pontificato di Sisto V (Felice Peretti), fu terminata la ristrutturazione dell’acquedotto alessandrino, chiamato da allora in poi Acqua Felice. Una nuova ramificazione doveva servire le zone del Viminale e del Quirinale e proprio sulla piazza del Quirinale fu deciso di realizzare una fontana di fronte alla residenza estiva del papa. I lavori furono affidati all’architetto Domenico Fontana (un nome, un destino…!) che decise di riutilizzare un antico gruppo scultoreo proveniente dalle vicine Terme di Costantino e che già si trovava nella piazza: si trattava dei Dioscuri, i due mitici gemelli figli di Zeus e Leda, che tengono a freno i loro cavalli. E’ interessante notare che il gruppo dei Dioscuri, copie romane di originali greci, furono in un primo momento ritenuti erroneamente opere originali di Fidia e Prassitele, e questo errore è ancora immortalato nell’iscrizione del basamento! Il Fontana, dopo averli restaurati, li spostò al centro della piazza, rivolti verso il palazzo del Quirinale, realizzando ai loro piedi la fontana commissionatagli. Nel 1782 papa Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) decise di adottare una nuova sistemazione dell’area, predisponendo anche un nuovo assetto per i Dioscuri: divisi in due gruppi, furono sistemati in modo tale da formare, tra loro, un angolo retto. Sembra però che l’architetto Antinori, a cui i lavori furono affidati, abbia avuto diverse difficoltà nel compiere questa operazione. Alludendo quindi alla sua imperizia, i Romani commentarono impietosamente che “un asino non può spostare un cavallo”! Anche due pasquinate intervennero prontamente a sottolineare l’episodio: la prima rivolta contro l’architetto e costituita dal semplice ma pungente anagramma del suo cognome :”Antinori, non tirai“; la seconda diretta invece al papa, in riferimento all’erronea scritta “Opus Fidiae” presente sul basamento e che subito fu modificata in “Opus perFidiae Pii Sexti“!
Alla fine comunque, nel 1786, il progetto fu eseguito e uno degli obelischi (m 14,639) che ornavano il Mausoleo di Augusto fu sistemato tra i due gruppi scultorei. Un’iscrizione posta sul lato posteriore della fontana ricorda ancora oggi l’impresa: l’obelisco, parlando in prima persona, racconta la sua esistenza per poi dichiarare:
INTER ALEXANDRI MEDIUS QUI MAXIMA SIGNA
TESTABOR QUANTO SIT MINOR ILLE PIO
cioè, Tra le colossali statue di Alessandro, testimonierò quanto questi (Alessandro) sia minore di Pio. Quando però Roma fu occupata dai francesi nel 1798, all’iscrizione qualcuno appose una caricatura con un cittadino che indicava a due francesi proprio quella parte della scritta, nella quale Alessandro poteva simbolicamente indicare Napoleone. I giacobini allora si preoccuparono subito di modificare la scritta in un più “neutrale” TESATABOR SEXTI GRANDI FACTA PII (testimonierò le grandi glorie di Pio Sesto). Se guardi bene però, puoi ancora notare, sotto la S di Sextii, la codina discendente della precedente Q di Quanto…!
In realtà quando l’obelisco fu sistemato, si decise anche di sostituire la fontana con una vasca di epoca romana proveniente dal Campo Vaccino, ma in realtà i lavori per la sua sistemazione, anche a causa dell’occupazione di Roma da parte delle truppe napoleoniche, si protrassero fino al 1818, sotto l’attenta guida dell’architetto Stern.
12 Giu, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… è nascosta una Menorah?
In pochi lo sanno, ma nel Roseto Comunale di Roma (generalmente aperto da aprile a giugno) si nasconde una Menorah! Scopriamo dove e perché.
Nell’area che attualmente ospita più di mille varietà di rose, a partire dalla metà del XVII secolo e fino alla fine dell’Ottocento, sorgeva il cimitero della Comunità Ebraica (resti del cimitero precedente si trovano invece a Trastevere: leggi Una necropoli ebraica scoperta a Trastevere).
Il luogo, anche come conseguenza della politica discriminatoria promossa dal papato in quel periodo, divenne presto conosciuto col nome di “Ortaccio degli Ebrei“. Il suo utilizzo si protrasse fino al 1895, in quanto il Cimitero Monumentale del Verano, inaugurato nel 1836, era inizialmente riservato ai cattolici e solo dopo il 1870 fu aperto anche agli ebrei.
L’odierna via Murcia, che attualmente attraversa il roseto, fu aperta nel 1934 e in quell’occasione le sepolture vennero trasferite. Durante la seconda guerra mondiale, la zona fu utilizzata come orto per far fronte alla scarsità di viveri e finalmente, nel 1950, divenne un giardino pubblico ricco di rose.
Per ricordare le antiche sepolture, i viali di una delle due parti che compongono il Roseto, furono progettati proprio a forma di Menorah, il candelabro ebraico a sette braccia. Inoltre, presso ognuno dei due ingressi, fu apposta una targa raffigurante le Tavole della Legge.
Raramente mentre si passeggia all’interno del parco si percepisce questa particolarità che caratterizza il nostro roseto, ma, come vedi in foto, con una visuale dall’alto la Menorah risulta sorprendentemente evidente!