Sai che a Roma… da settembre a giugno il MercatoMonti rallegra i fine settimana e li arricchisce di colore e originalità? Ed è ormai diventata la regola quella che era nata come una speciale”Weekend Edition”, con un doppio appuntamento sabato e domenica con le bancarelle fashion/vintage più famose di Roma.
In uno dei rioni storici della Capitale, il Mercato si caratterizza per la presenza di capi di abbigliamento di giovani stilisti e di indipendenti, uniti al vintage di qualità. E poi accessori, modernariato, libri, creazioni artigianali e mille curiosità tra cui perdersi, respirando a pieni polmoni la suggestiva aria monticiana.
Tra le peculiarità che contraddistinguono l’attività del MercatoMonti, risulta molto apprezzato il Service Express, un progetto in base al quale alcuni artigiani lavorano “in diretta” alle proprie opere, consentendo ai visitatori non solo di poter osservare l’affascinante processo creativo, ma anche di intervenire su di esso per chiedere speciali personalizzazioni delle realizzazioni finali.
Grazie all’iniziativa “Talent of the week” il Mercato svolge inoltre un’importante ruolo nella promozione di giovani talenti: ogni settimana infatti viene scelto un espositore che avrà la possibilità di esporre in modo gratuito i suoi lavori e di usufruire di uno spazio promozionale speciale sui canali web di MercatoMonti.
Lo spirito di solidarietà cui il mercato si ispira, viene ben espresso anche dall’attenzione e il sostegno offerti a Onlus, cooperative sociali e organizzazioni di volontariato, cui vengono riservate alcune postazioni a titolo completamente gratuito.
Il mercato è aperto il sabato e la domenica, da settembre a giugno, dalle 10 alle 20, in via Leonina 46 (salvo edizioni speciali in luoghi diversi)
Buono shopping!
Dove: via Leonina 46, all’interno della Sala Conferenze del Grand Hotel Palatino
Sai che a Roma… puoi gustare il caffè direttamente in un’antica torrefazione, a un passo dal Pantheon?
Stiamo parlando del Caffè Tazza d’Oro, “La casa del Caffè”, in via degli Orfani, 84. Non a caso si tratta di uno dei bar più famosi di Roma, sia per la qualità dei suoi prodotti che per l’atmosfera storica.
La torrefazione Tazza d’Oro fu fondata nel 1946 da Mario Fiocchetto de Saint Arnaud, il quale già dai primi del Novecento aveva altri tre caffè su via Nazionale, ma che grazie a questo nuovo locale entrò definitivamente nella Storia di Roma. A quei tempi il caffè veniva importato crudo direttamente dai paesi d’origine, senza intermediari, e il signor Mario, con passione e serietà, iniziò una lunga serie di viaggi in sud-America per conoscere di persona i coltivatori di caffè e per selezionare i chicchi migliori. Quando tornò a Roma, era ormai un vero esperto di caffè, al punto di creare egli stesso una miscela, “La Regina dei Caffè”, che è tutt’oggi una delle più apprezzate nel mondo. La passione di Mario si è trasmessa per 4 generazioni, ognuna delle quali ha contribuito a perfezionare la miscela originaria, e ancora oggi Natalia Fiocchetto porta avanti questa “aromatica” tradizione.
Il Caffè Tazza d’Oro è molto frequentato, sia per la sua posizione che per i suoi prodotti rinomati, ma anche perché, passeggiando per la piazza del Pantheon o per i vicoli circostanti, è proprio il profumo del caffè tostato che porta dritti dritti fino al locale! Infatti tra i frequentatori c’è una grande varietà: esponenti politici, professionisti, casalinghe, attori, turisti, artigiani… A volte i turisti lamentano l’assenza di tavoli, che li priva della possibilità di indugiare nelle sale che conservano ancora l’allestimento degli anni Cinquanta e un’atmosfera esotica e retrò, ma in fondo l’abitudine del caffè al banco è tipicamente italiana, e dopo un primo momento di smarrimento, anche loro iniziano ad apprezzarla!
Rispetto all’origine del nome “Tazza d’Oro”, la tradizione vuole che il fondatore non abbia assolutamente voluto legare il marchio al nome di famiglia, ritenendo che una simile strategia fosse troppo svilente per il caffè, che lui amava e rispettava, e troppo autocelebrativa! Il riferimento a una tazza d’oro gli sembrò invece un buon modo per diffondere e comunicare l’eccellenza della sua produzione.
Tra le specialità servite nell’area bar, oltre ai 10 diversi tipi di caffè, la più celebre è sicuramente la granita di caffè, normalmente servita con panna sopra e sotto e a prezzi che, considerata anche la zona, risultano più che onesti. Bisogna però ricordare anche la cosiddetta Monachella, un caffè in tazza grande ricoperto di panna montata, o ancora il Parfait de Cafè, ancora preparato secondo l’antica ricetta, recuperata dopo un periodo in cui la produzione del gustoso semifreddo era stata interrotta.
Anche gli appassionati di tè, comunque, non resteranno delusi, perché per loro è presente una vasta gamma di scelta, con tè rari e pregiati provenienti dalla Cina, dall’India e dal Giappone.
Nell’area destinata alla vendita, sarà facile perdersi tra il profumo e il fascino delle 27 miscele di caffè, i vari tipi di tè, il caffè crudo venduto in grani. Puoi acquistare caffè torrefatto, macinato o anche in cialde (chiamate “Cialde Reginella”), immergendoti nel fascino delle drogherie di una volta e scoprendo le antiche macchine da tostatura. Altri prodotti, consigliatissimi anche per fare dei regali originali, sono poi i chicchi di caffè ricoperti di cioccolata, il tipico liquore al caffè chiamato “Aroma di Roma”. E, ovviamente, sono in vendita anche le tazzine con il marchio Tazza d’Oro, diventate ormai quasi un oggetto di culto!
Insomma, sai che a Roma… questo è proprio un posto da non perdere?
Il giardino dell’Istituto Giapponese di Cultura a Roma
Sai che a Roma… si nasconde anche un vero giardino giapponese?
Si tratta del Giardino dell’Istituto Giapponese di Cultura, ormai aperto tutto l’anno (tranne nei mesi di luglio, agosto e nel periodo natalizio) e fruibile grazie alle visite guidate gratuite messe a disposizione dall’Istituto stesso.
E’ un piccolo ma prezioso gioiello nel cuore della città, meraviglioso nel massimo della sua fioritura, in primavera, ma che regala affascinati e suggestivi scenari anche durante gli altri periodi dell’anno.
La prenotazione è obbligatoria (al numero 06.9484.4655) e ci sono vari turni disponibili il martedì, giovedì e venerdì, mattina e pomeriggio, e il sabato mattina.
Le prenotazioni sono possibili per il mese in corso e il successivo. Puoi controllare le disponibilità cliccando qui. Ti avvisiamo che trovare posto non è molto facile, quindi ti conviene provare all’inizio del mese!
Il giardino dell’Istituto Giapponese, il primo ad essere realizzato in Italia da un architetto giapponese, è opera di Ken Nakajima, che si è occupato anche del progetto per l’area giapponese dell’Orto Botanico di Roma.
Al suo interno sono presenti tutti gli elementi caratteristici del giardino giapponese di stile sen’en (giardino con laghetto), proprio secondo i canoni classici che ci vengono in mente quando pensiamo a un giardino giapponese: il il laghetto, la cascata, le rocce, le piccole isole, il ponticello e la lampada di pietra, tôrô. Tra le piante troviamo il ciliegio, il glicine, gli iris e i pini nani.
La veranda che affaccia sul laghetto, tsuridono, è il punto ideale per godersi la vista!
Una piccola curiosità è che le pietre che formano la cascata, in realtà, di giapponese hanno molto poco, perché arrivano direttamente dalla campagna toscana!
Sai che a Roma… se fai una passeggiata al Ghetto, attorno alle rovine del Portico di Ottavia, potresti incontrare il fantasma di Berenice?
Percorrendo via del Portico di Ottavia, giunto in largo 16 ottobre 1943,ti troverai di fronte alcuni imponenti resti archeologici: si tratta della Porticus Octaviae, che l’imperatore Augusto fece erigere in onore di sua sorella Ottavia tra il 33 e il 23 a.C.
Nell’area, già dal II secolo a.C. esistevano due antichi templi, dedicati a Giunone Regina e a Giove Statore e racchiusi nella Porticus Metelli. Quest’ultima fu completamente rimpiazzata dalla costruzione augustea.
Settimio Severo e Caracalla (come ricorda anche l’iscrizione sull’architrave) ricostruirono al loro volta l’edificio. La parte che oggi puoi vedere è l’atrio centrale da cui si accedeva al portico, un tempo rivestito di marmo.
Tra le colonne che sostengono il timpano, noterai che è presente un arco in mattoni: quest’arco è di epoca medievale, quando tra le colonne della Porticus si svolgeva il mercato del pesce più famoso della città, tanto che la stessa chiesa di S. Angelo, che si intravede dietro le colonne, era detta di S. Angelo in Pescheria (nella chiesa, la Cappella del Sacramento ospita un dipinto del Vasari).
La presenza di un mercato del pesce in questo luogo non è casuale, del resto, se consideri che il porto di Ripetta, uno dei più importanti del Tevere, era proprio qui vicino! Adesso guarda bene la targa che si trova tra i laterizi che chiudono lo spazio tra le colonne: c’è scritto che tutte le teste di quei pesci che avessero superato la lunghezza della targa, dovevano essere consegnate ai Conservatori della città (una specie di sindaci dell’epoca…). La testa era infatti una delle parti più pregiate, con cui si insaporivano (e si insaporiscono tutt’oggi…) le zuppe di pesce, e questa stana imposizione era molto semplicemente una forma di tassazione!
Prima di parlare del Fantasma di Berenice, però, vogliamo ricordarti un’altra cosa! Guarda bene l’area e lo spazio tra le colonne… non ti viene in mente nulla?
E se ti dicessimo di pensare al film “Un Americano a Roma”, con l’indimenticabile Alberto Sordi? Esatto! La scena in cui lui fa il gangster fingendo di sparare al metronotte con le dita! “E sto a scherza’… So’ scariche!” 🙂 Il posto è proprio questo!
Ma Alberto Sordi non è l’unico ad aver scelto questa zona come… set!
Ad aggirarsi per il dedalo di vicoletti del Ghetto, tra le rovine del Portico d’Ottavia e l’area antistante il Teatro di Marcello (e sappi che Marcello era il figlio di Ottavia, quindi nipote di Augusto…) c’è anche la bellissima Berenice, o meglio, il suo fantasma.
Berenice era la bellissima figlia di Erode Agrippa, detto il Grande. Nell I secolo d.C. la donna, sui cui trascorsi amorosi circolavano voci non troppo lusinghiere, intraprese un’intensa storia d’amore con il futuro imperatore Tito; quest’ultimo era stato mandato in Terra Santa da suo padre, Vespasiano, per sedare alcune rivolte. Tito rase al suolo Gerusalemme e nel 71 d.C. tornò a Roma vittorioso (proprio a questo trionfo fa riferimento l’Arco di Tito nel Foro Romano), portando con sé, al suo fianco, la bella ebrea.
Fin qui, nulla di strano. Anzi, la “preda amorosa” ben si addice a un valoroso condottiero, e considerata la bellezza della donna, poco importa che sia di 21 anni più grande del futuro imperatore. Il problema nasce quando Vespasiano capisce che Tito, quella donna, ha intenzione di sposarla…!
Introdurre un’estranea nella linea di successione imperiale non è ammissibile, tanto più se ebrea! Le discussioni tra Tito e il padre continuano, il tempo passa, e alla fine Vespasiano muore. A quel punto Tito, forse per onorarne la memoria, forse perché ormai stanco di quella storia storia travagliata, si decide ad allontanare da Roma Berenice.
Il fantasma della donna, secondo la leggenda, continua a vagare intorno al Portico d’Ottavia, luogo da cui, nel 71 d.C. partì la processione trionfale che celebrava il successo militare del “suo” Tito. E sembra che lo spettro, afflitto e sconsolato, continui a ripetere “Ecco, per questo potere, ormai ridotto in rovina, tu mi hai sacrificata…!”
N.B.: attualmente i resti del portico sono coperti dalle impalcature per i restauri… (impalcature parzialmente rimosse a dicembre 2016)
Sai che a Roma… oggi vogliamo parlarti della basilica di San Clemente?
E’ il rione Monti a godere del privilegio di ospitare quella che può essere definita una chiesa-palinsesto. A San Clemente è facile capire come tutta la città di Roma sia pluristratificata, di come essa abbia continuato, nei secoli, a rinascere su se stessa, lasciando sotto i nuovi edifici quelli vecchi, pronti a raccontare agli archeologi delle storie incredibili.
La chiesa risale al XII secolo, quando papa Pasquale II (1050 – 1118) la ricostruì utilizzando molti materiali di un precedente edificio (la cosiddetta basilica inferiore) risalente al IV secolo e a sua volta impostato su costruzioni romane di I-II secolo e su un tempio del dio Mitra. Per rendersene conto, basta dare un’occhiata, per esempio, ai plutei marmorei della schola cantorum, databili al VI secolo. Ad epoche successive sono riferibili invece numerosi elementi dell’interno, nonché la facciata sobriamente barocca (sì, in alcuni casi il barocco può essere sobrio…!)
Non è nostra intenzione, in questa sede, fare una descrizione dettagliata della chiesa, pur di indiscusso pregio artistico, perché, quello di cui, ancora una volta, vogliamo parlarti, è una piccola-grande curiosità! Nell’attraversare l’aula, però, di sicuro noterai lo splendido pavimento cosmatesco , il ciborio medievale che sovrasta l’altare maggiore, il mosaico absidale con il Trionfo della Croce (raro esempio di scuola romana della prima metà del XII secolo) e, affacciandoti nella cappella di Santa Caterina, gli affreschi di Masolino da Panicale e Masaccio.
Ora però scendiamo nella cosiddetta chiesa inferiore (IV secolo), dove la decorazione ad affresco risalente al tardo IX secolo racconta in modo molto originale la storia di Sisinnio, Teodora e Clemente, quarto papa della storia (88 – 97 d.C.), nonché personaggio al quale la basilica è dedicata.
Sisinnio era un ricco prefetto romano che non aveva preso troppo bene l’adesione della sua bella moglie, Teodora, al cattolicesimo. Del resto, Sisinnio va anche capito, perché, stando a quanto racconta la leggenda, dopo la conversione Teodora si era votata alla totale castità… Un giorno la sua signora si intestardì a voler partecipare a una funzione di Clemente, che all’epoca era patriarca (diventerà papa in seguito), e il prefetto, uomo piuttosto potente, esasperato dalla situazione e stizzito da tanta insistenza, decise di far arrestare Clemente. La punizione divina non tardò ad arrivare: Sisinnio, che si era lasciato accecare dall’odio per i cristiani, divenne immediatamente cieco e sordo, dovendo così rinunciare al suo piano. Successivamente, Clemente, uomo compassionevole, si impietosì, decidendo di recarsi da Sisinnio e di guarirlo. Giunto al palazzo di questi però si trovò di fronte un Sisinnio ancora adirato, che vuole vuole farlo cacciare. Non sappiamo se fu a causa della cecità o magari per effetto di un nuovo, provvidenziale intervento divino, fatto sta che Sisinnio si trovò ad impartire un ordine piuttosto bizzarro: anziché far buttare fuori Clemente, ordinò ai suoi servi di incatenare e trascinare via una pesantissima colonna.
Sulle pareti della basilica inferiore di San Clemente, questa scena viene raffigurata in forma di vero e proprio fumetto, con i dialoghi riportati vicino alle teste dei personaggi stessi. E di fronte ai servi che, alle prese con la colonna, si trovano palesemente in difficoltà, Sisinnio, ormai furioso, impreca e grida (e sembra quasi di poterlo sentire…) “Traite, fili de le pute” (tirate, figli di puttana!), mentre Clemente se ne va liberamente, impartendo benedizioni. Mentre leggi queste parole, ricordati anche sei di fronte a uno dei primi esempi in assoluto di volgare italiano.
E così, sottoterra e di fronte a questa antica raffigurazione, non puoi far a mento di riflettere su come i sentimenti, le emozioni e le reazioni umane siano sempre le stesse: l’assurda e inutile frustrazione per non poter controllare la propria donna, l’insicurezza malcelata dietro il tentativo di voler attribuire ad altri la responsabilità una situazione non gradita, l’arroganza nel tentativo di usare una posizione privilegiata e di supremazia per fini personali, e infine la rabbia, scomposta e inutile, sfogata su qualcuno che, a ben guardare, è estraneo a tutta la vicenda…
E pensare che c’è gente che crede che la Storia non sia attuale! Mah…
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