7 Giu, 2013 | Notizie, sai che a Roma...
Sai che a Roma… scavando non emergono solo muri antichi e “cocci”? A Ostiense, durante alcuni lavori di scavo per conto dell’Italgas, gli archeologi si sono trovati di fronte a qualcosa di davvero particolare e inaspettato: un mucchio di scarpe di cuoio databili alla prima metà del Novecento! Sono scarpe da uomo, da donna e anche per bambini, rovinate ma assolutamente riconoscibili. Durante lo scavo per sostituire un tratto di gasdotto in piazzale Ostiense, erano emerse alcune strutture identificate con la cripta della chiesa di San Salvatore de Porta, già esistente nel IV secolo d.C. E distrutta a metà del XIX secolo. Tra gli strati di terra che ricoprivano gli antichi resti, l’inaspettata scoperta. Per la loro conformazione, sembra di poter riferire le calzature al periodo della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza, ma è difficile, al momento, stabilire come le scarpe si siano accumulate lì. In mancanza di resti ossei collegati, è possibile escludere che l’area sia stata utilizzata come fossa comune. A questo punto, per riuscire a capirne di più (“quasi un dovere etico” per la dott.ssa Francesca Mattei Pavoni, che conduce lo scavo) sarebbe necessario continuare a scavare e ampliare l’area di indagine. La dott.ssa Rita Paris, responsabile dell’area per la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, ribadisce la necessità di proseguire lo scavo, che porterebbe a fare una nuova luce sull’area di porta San Paolo sia nell’età tardo-antica che in quella contemporanea. Tra l’altro, tra le strutture emerse durante i lavori, alcune potrebbero riferirsi alla famosa “via tecta” (via coperta) monumentale, una “Porticus” colonnata che, dalle fonti (Procopio di Cesarea), sappiamo che collegava, lungo un percorso di circa 3 chilometri, la Porta San Paolo delle Mura Aureliane con la Basilica di San Paolo, offrendo riparo ai pellegrini che andavano a venerare i resti dell’apostolo.
Altre strutture emerse, sono invece da riferirsi alla cripta o ad alcune pertinenze della chiesa di San Salvatore de Porta, di epoca tardo-antica e passata nel 1573 al Collegio germanico-ungarico di Roma, per essere poi demolita nel 1849. Dagli ambienti della chiesa, racconta la trazione, giunse la nobile Plautilla a portare a San Paolo il velo con cui si sarebbe dovuto coprire al momento della decapitazione.
E davvero ci auguriamo che le indagini possano continuare per permettere agli archeologi di raccontarci tutta la storia di Porta San Paolo, dai pellegrini fino alle scarpe!
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Aggiornamento: proseguendo le indagine, lo scavo ha restituito anche una macina pompeiana da grano. Leggi l’articolo.
7 Giu, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… a volte siamo tutti un po’ buzzurri? Oppure no? Chi sono, esattamente, i buzzurri? Il termine BUZZURRO, usato oggi per identificare una persona rozza, ignorante e volgare, in origine indicava i montanari svizzeri che, durante l’inverno, arrivavano a Roma per pulire i camini e per vendere le “callaroste” (castagne arrostite), il castagnaccio e la polenta. La parola infatti deriva dal tedesco antico Butzen (odierno Putzen = ripulire). Dopo il 1870 BUZZURRO fu utilizzato in modo più generico, e in senso dispregiativo, in riferimento ai settentrionali italiani (soprattutto piemontesi e lombardi) che si trasferirono nella nuova Capitale.
4 Giu, 2013 | sai che a Roma...

Rocca Priora – Chiesa della Madonna della Neve
Sai che a Roma… anticamente, ma ancora fino al XX secolo, c’erano i nevaroli? I nevaroli si occupavano di raccogliere, conservare, trasportare e infine vendere la neve!
A suon di palate, il nevarolo riempiva un carro profondo e trasferiva poi il prezioso carico in cantine o grotte le cui aperture dovevano essere limitatissime per evitare che il freddo si disperdesse. Con lo stesso scopo questi ambienti venivano chiusi in modo quanto più possibile ermetico. La neve veniva compattata attraverso le operazioni di “pestaggio” e i diversi blocchi erano mantenuti separati e isolati termicamente con l’aiuto della paglia. Con l’arrivo del caldo la neve, divenuta ormai ghiaccio, veniva tagliata in pezzi più piccoli, più facili da trasportare e più vendibili.
Ovviamente il luogo d’elezione per l’approvvigionamento di neve per la Capitale erano i Castelli Romani, dove i pozzi di Rocca Priora e Rocca di Papa erano i più famosi. A Rocca Priora la neve era considerata una importante risorsa e una benedizione, tanto che alla fine del XVI secolo venne costruita una cappella dedicata proprio alla Madonna della Neve e dove poter pregare o ringraziare per la caduta del prezioso bene. Nel 1660 la cappella fu ingrandita diventando una vera e propria chiesa, ancora esistente.
Altri importanti pozzi per la neve si trovavano anche a Monte Flavio e a Monte Gennaro, ma quelli tuscolani erano senza dubbio più comodi, in virtù della loro vicinanza a Roma. Strutture di questo genere erano piuttosto conosciute a Roma, tanto che quando un romano entrava in una casa particolarmente fredda, l’esclamazione di rito recitava “Sta casa pare ‘na neviera!”
Nel XVII secolo i venditori ambulanti di neve, protetti tradizionalmente da San Sebastiano, si aggiravano per la città al grido tipico e vagamente poetico di “Chi volentieri il bon vin fresco beve, eccovi qui la fresca e bianca neve!”
In tempi più recenti, i nevaroli furono “rimpiazzati” dagli operai della Fabbrica del Ghiaccio, legata allo stabilimento della Birra Peroni, nell’area di piazza Alessandria. Da qui le colonne di ghiaccio venivano trasportate in città attraverso dei tipici carri arancioni, trainati da imponenti cavalli da tiro e i pezzi di questi colossali ghiaccioli erano acquistati da osterie, macellerie, trattorie e anche da semplici privati, che iniziavano ormai ad avere ognuno la sua personale ghiacciaia, nella quale conservare il ghiaccio e, con esso, il freddo.
29 Mag, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… “nun ce piove”?
Questa locuzione, in risposta alla domanda “Ce piove a Roma?”, sembra assurda, ma ha origini storiche! Durante le guerre d’indipendenza infatti, i patrioti romani erano soliti incontrarsi nei locali, osterie o caffè, e quando entrava qualche sconosciuto, gli rivolgevano subito questa domanda: “ce piove a Roma?”. Se il nuovo entrato era anch’egli un patriota, la frase in codice per la risposta era esattamente “nun ce piove!”.
La stessa domanda si trovava anche scritta sui muri delle case, seguita dalla simbolica risposta NON PIOVE, che andava così interpretata: Non PIO, V.E. cioè non più il papa Pio IX, ma il re Vittorio Emanuele!
Oggi “ce piove a Roma?” è una domanda sarcastica, rivolta a chi si comporta da ingenuo e da sempliciotto.
16 Mag, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… è stato ritrovato uno xenodochium?
Uno xenodochio o, in latino, xenodochium (la parola però ha origini greche), era una struttura in cui, durante l’epoca medievale, i pellegrini che intraprendevano lunghi viaggi verso i luoghi di culto potevano riposarsi e ristorarsi gratuitamente. A gestire questa sorta di ospizio per forestieri erano i monaci, che si impegnavano così nell’attività di assistenza ai forestieri che per devozione affrontavano lunghi e pericolosissimi viaggi, per lo più a piedi. Roma, come è naturale, nell’VIII secolo era una ambitissima meta di pellegrinaggio, e dalle fonti scritte sappiamo che nel medioevo erano almeno 14 gli xenodochia presenti. Fino ad ora però nemmeno uno di questi edifici era stato ritrovato. Nel corso dei lavori effettuati per la realizzazione della nuova linea del tram 8, invece, proprio in via delle Botteghe Oscure gli archeologi hanno portato alla luce questa preziosa testimonianza storica.
La soprintendente dott.ssa Fedora Filippi ha presentato ieri (15 maggio 2013), in un convegno alla British School at Rome, i risultati delle indagini, ormai terminate. I ritrovamenti riguardano un corpo di fabbrica rettangolare, articolato in ambienti che affacciano lungo un corridoio. Le murature, in base alle tecniche edilizie, sembrano potersi datare tra l’VIII e il IX secolo, dato che si accorderebbe bene con le fonti storiche, le quali raccontano che papa Stefano II, tra il 752 e il 757 fece restaurare tutti gli xenodochia di Roma. L’identificazione puntuale con lo xenodochio degli Anici, fondato dalla gens Anicia e restaurato proprio da Stefano II sembra più che plausibile, ma non ancora certa.
Oltre ai dormitori dei pellegrini, il complesso edilizio era dotato anche di terme , di un refettorio e, ovviamente, era collegato a un oratorio: si tratta della chiesa medievale di Santa Lucia de’ Calcarari, demolita nell’Ottocento ma di cui sono ora tornati alla luce i resti. Scopriamo così che si trattava di una chiesa con tre absidi ad angolo retto (unico esempio di VIII secolo conosciuto a Roma), larga 12 metri e lunga 16, con il presbiterio rivestito di lastre di marmo. Nel XVII secolo, probabilmente in coincidenza di un importante intervento di ristrutturazione, il pavimento medievale della chiesa fu distrutto per ricavare, secondo una pratica piuttosto diffusa, un ossario, cioè un ambiente in cui raccogliere i resti ossei di persone inumate precedentemente e riesumate, in modo tale da poter creare spazio per nuove sepolture.
Questa è Roma: una città in cui sostituendo i binari del tram, puoi ritrovare secoli di storia, semplicemente dimenticati lì!
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