Un asino non può spostare un cavallo! La fontana dei Dioscuri

fontana_Dioscuri_PzaQuirinale-300x225Sai che a Roma… “un asino non può spostare un cavallo”?
La Fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale ha una lunga storia ed è legata anche a un famoso aneddoto e a qualche divertente pasquinata.
Alla fine del XVI secolo, sotto il pontificato di Sisto V (Felice Peretti), fu terminata la ristrutturazione dell’acquedotto alessandrino, chiamato da allora in poi Acqua Felice. Una nuova ramificazione doveva servire le zone del Viminale e del Quirinale e proprio sulla piazza del Quirinale fu deciso di realizzare una fontana di fronte alla residenza estiva del papa. I lavori furono affidati all’architetto Domenico Fontana (un nome, un destino…!) che decise di riutilizzare un antico gruppo scultoreo proveniente dalle vicine Terme di Costantino e che già si trovava nella piazza: si trattava dei Dioscuri, i due mitici gemelli figli di Zeus e Leda, che tengono a freno i loro cavalli. E’ interessante notare che il gruppo dei Dioscuri, copie romane di originali greci, furono in un primo momento ritenuti erroneamente opere originali di Fidia e Prassitele, e questo errore è ancora immortalato nell’iscrizione del basamento! Il Fontana, dopo averli restaurati, li spostò al centro della piazza, rivolti verso il palazzo del Quirinale, realizzando ai loro piedi la fontana commissionatagli. Nel 1782 papa Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) decise di adottare una nuova sistemazione dell’area, predisponendo anche un nuovo assetto per i Dioscuri: divisi in due gruppi, furono sistemati in modo tale da formare, tra loro, un angolo retto. Sembra però che l’architetto Antinori, a cui i lavori furono affidati, abbia avuto diverse difficoltà nel compiere questa operazione. Alludendo quindi alla sua imperizia, i Romani commentarono impietosamente che “un asino non può spostare un cavallo”! Anche due pasquinate intervennero prontamente a sottolineare l’episodio: la prima rivolta contro l’architetto e costituita dal semplice ma pungente anagramma del suo cognome :”Antinori, non tirai“; la seconda diretta invece al papa, in riferimento all’erronea scritta “Opus Fidiae” presente sul basamento e che subito fu modificata in “Opus perFidiae Pii Sexti“!

Alla fine comunque, nel 1786, il progetto fu eseguito e uno degli obelischi (m 14,639) che ornavano il Mausoleo di Augusto fu sistemato tra i due gruppi scultorei. Un’iscrizione posta sul lato posteriore della fontana ricorda ancora oggi l’impresa: l’obelisco, parlando in prima persona, racconta la sua esistenza per poi dichiarare:

INTER ALEXANDRI MEDIUS QUI MAXIMA SIGNA

TESTABOR QUANTO SIT MINOR ILLE PIO

cioè, Tra le colossali statue di Alessandro, testimonierò quanto questi (Alessandro) sia minore di Pio. Quando però Roma fu occupata dai francesi nel 1798, all’iscrizione qualcuno appose una caricatura con un cittadino che indicava a due francesi proprio quella parte della scritta, nella quale Alessandro poteva simbolicamente indicare Napoleone. I giacobini allora si preoccuparono subito di modificare la scritta in un più “neutrale” TESATABOR SEXTI GRANDI FACTA PII (testimonierò le grandi glorie di Pio Sesto). Se guardi bene però, puoi ancora notare, sotto la S di Sextii, la codina discendente della precedente Q di Quanto…!

In realtà quando l’obelisco fu sistemato,  si decise anche di sostituire la fontana con una vasca di epoca romana proveniente dal Campo Vaccino, ma in realtà i lavori per la sua sistemazione, anche a causa dell’occupazione di Roma da parte delle truppe napoleoniche, si protrassero fino al 1818, sotto l’attenta guida dell’architetto Stern.

La birra dei Romani antichi

birra4-300x225Sai che a Roma… già i Romani antichi conoscevano la birra? In realtà la birra era conosciuta già molto prima dei Romani… ed è nata per caso!

L’orzo, di cui la birra è composta, è stato il primo cereale coltivato dall’uomo. Dalla coltivazione all’idea di creare delle riserve, il passo fu breve, ma  vermi e roditori, che cercavano a loro volta di sfruttare queste scorte, resero necessarie alcune sperimentazioni! Tra le prove di conservazione messe in atto, si giunse quindi al tentativo di mettere i grani d’orzo nell’acqua. La natura fece il suo corso, e i lieviti il loro lavoro: l’intruglio così creato iniziò a fermentare, e gli effetti benefici ed “euforizzanti” di questa specie di birra primordiale furono subito apprezzati dall’uomo, ed anzi attribuiti a un superiore intervento divino.

Le prime attestazioni certe riguardanti la birra (che però doveva essere nata molto prima, probabilmente intorno al VII millennio a.C.)  risalgono ai Sumeri, addirittura nel 3.700 a.C. (anno più, anno meno…!),  in un documento (una tavoletta d’argilla conosciuta come “monumento blu”) che menziona la birra tra i doni offerti alla dea Nin-Harra. Sappiamo inoltre che i Sumeri consumavano birre di diversi tipi, e che avevano già una legislazione in materia di birre: il Codice di Hammourabi (1728-1686 A.C.) prevedeva addirittura la condanna a morte (per annegamento) per chi non avesse rispettato le leggi sulla  fabbricazione e per chi avesse aperto un locale di vendita senza autorizzazione.

I Babilonesi proseguirono e affinarono la tradizione birraia  dei Sumeri, arrivando a produrre ben 20 varietà di birra.

Anche gli Egizi erano grandi estimatori e consumatori di birra, tanto che nella loro cultura riconoscevano a Osiride, protettore dei morti, il merito dell’invenzione della bevanda, chiamata zythum. Della birra esaltavano le proprietà curative , e l’arte di produrre birra era insegnata nelle scuole superiori ancor prima della lettura e della scrittura.

I Greci di certo, pur non producendola, non ignorarono la birra, che chiamavano, mutuando il nome direttamente dagli Egizi, zythos. Essa veniva consumata in special modo nel corso delle cerimonie tutte al femminile in onore di Demetra, gran Madre della Terra, nonché in concomitanza con i giochi olimpici, durante i quali il consumo di vino era proibito.

E veniamo ai Romani. Nell’antica Roma la birra era una bevanda conosciuta e consumata, ma in realtà fu sempre il vino a farla da padrone: la birra era infatti considerata una bevanda pagana e plebea, tanto che lo storico Tacito, nell’87 d.C., paragona la birra consumata dalle popolazioni germaniche al vinus corruptus, cioè andato a male! Non tutti erano dello stesso parere, però, in quanto sappiamo che alcune ville erano dotate di piccole birrerie private! Lo stesso Augusto apprezzò la birra, se non come bevanda almeno come medicinale, in quanto proprio grazie ad essa il suo medico Musia lo curò dal mal di fegato. E ancora sappiamo che Nerone fece un ampio uso di birra, che riceveva  in dono da Silvio Ottone,  marito della celebre Poppea, che l’Imperatore aveva sapientemente spedito in Portogallo per potergli rubargli la moglie indisturbato!  Era ovviamente birra della penisola iberica, la cerevisia, e Nerone fece addirittura giungere a Roma uno schiavo lusitano, abile mastro birraio, che gli preparasse la graditissima bevanda. E del resto il termine “birra” deriva proprio dal verbo latino bibere (bere), mentre cerveca, la parola con cui si indica la birra in Spagna, deriva la sua matrice dalla dea latina Cerere (Ceres in latino, e non è un caso che sia anche il nome di una nota birra…!), che altri non è (ulteriore “coincidenza” non casuale!) se non il corrispettivo latino della dea greca Demetra. Inoltre Plinio, nel XXXVII libro della Naturalis Historia ci informa su un particolare impiego della birra nella cosmesi femminile per la pulizia del viso e come nutrimento per la pelle. Nonostante l’altalenante successo di cui godette nella nostra penisola e a Roma, nelle aree periferiche dell’Impero la birra continuò ad essere prodotta, e, ovviamente, le popolazioni germaniche e dei territori non adatti alla coltivazione della vite, introdussero importanti novità nella pratica brassicola.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, in Italia “caddero” anche la produzione e il consumo di birra, che nel periodo medievale rimase confinata quasi esclusivamente all’ambito monastico, finché, nel 1527, essa non fu reintrodotta nel corso del famigerato sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi. Il suo consumo continuò comunque a trovare ampie resistenze fino alla metà del XIX secolo. A quest’epoca risalgono infatti le prime fabbriche artigianali, tra cui quella, famosissima, di Giovanni Peroni.

Nun è morta bene, Margherita!

20130616-092550Sai che a Roma… “Nun è morta bene, Margherita!”? Si tratta di un curioso modo di dire, utilizzato sarcasticamente per invitare qualcuno a chiudere un discorso troppo lungo e noioso, che continua a ripetere sempre gli stessi argomenti.
Questo l’aneddoto che spiega l’origine del detto: si racconta che una volta la moglie di una delle guardie papali fosse molto malata. Margherita, questo il nome della donna, peggiorò ulteriormente e il marito, vedendola ormai moribonda, corse a chiamare i becchini affinché venissero a prenderla. Questi furono così efficienti, che al loro arrivo la donna non era ancora spirata. Così lo svizzero rivolse loro questo invito: “Fate un altro giretto. Non è ancora morta bene, Margherita!”.
Secondo un’altra interpretazione, questo detto si userebbe in riferimento a una sorpresa piacevole e inaspettata, presupponendo la gioia del marito per la non-morte della moglie!
Beh, non vorremmo dubitare dell’amore coniugale della guardia, ma la prima interpretazione sembra di gran lunga la più affermata!

La Menorah nascosta

menorah-rosetoSai che a Roma… è nascosta una Menorah?

In pochi lo sanno, ma nel Roseto Comunale di Roma (generalmente aperto da aprile a giugno) si nasconde una Menorah! Scopriamo dove e perché.

Nell’area che attualmente ospita più di mille varietà di rose, a partire dalla metà del XVII secolo e fino alla fine dell’Ottocento, sorgeva il cimitero della Comunità Ebraica (resti del cimitero precedente si trovano invece a Trastevere: leggi Una necropoli ebraica scoperta a Trastevere).

Il luogo, anche come conseguenza della politica discriminatoria promossa dal papato in quel periodo, divenne presto conosciuto col nome di “Ortaccio degli Ebrei“. Il suo utilizzo si protrasse fino al 1895, in quanto il Cimitero Monumentale del Verano, inaugurato nel 1836, era inizialmente riservato ai cattolici e solo dopo il 1870 fu aperto anche agli ebrei.

L’odierna via Murcia, che attualmente attraversa il roseto, fu aperta nel 1934 e in quell’occasione le sepolture vennero trasferite. Durante la seconda guerra mondiale, la zona fu utilizzata come orto per far fronte alla scarsità di viveri e finalmente, nel 1950, divenne un giardino pubblico ricco di rose.

Per ricordare le antiche sepolture, i viali di una delle due parti che compongono il Roseto, furono progettati proprio a forma di Menorah, il candelabro ebraico a sette braccia. Inoltre, presso ognuno dei due ingressi, fu apposta una targa raffigurante le Tavole della Legge.
Raramente mentre si passeggia all’interno del parco si percepisce questa particolarità che caratterizza il nostro roseto, ma, come vedi in foto, con una visuale dall’alto la Menorah risulta sorprendentemente evidente!

Mejo scerte per toro…

Sai che a Roma… un modo di dire recita cosí?
Mejo scerte per toro, che capate!
Significa che è meglio far parte del gruppo di animali destinati alla monta del toro che a quello delle bestie “capate”, cioè selezionate per essere macellate. Un po’ come dire “poteva andare peggio!”, ma con l’espressività che contraddistingue il nostro dialetto!
Questo modo di dire deve la sua fortuna al fatto che fu usato ironicamente dalle prostitute romane, che volevano ricordare che comunque per loro era stato meglio essere scelte per questo mestiere di strada, piuttosto che morire di fame.