1 Mar, 2017 | Mangiare & Bere
Sai che a Roma… puoi gustare il caffè direttamente in un’antica torrefazione, a un passo dal Pantheon?
Stiamo parlando del Caffè Tazza d’Oro, “La casa del Caffè”, in via degli Orfani, 84. Non a caso si tratta di uno dei bar più famosi di Roma, sia per la qualità dei suoi prodotti che per l’atmosfera storica.
La torrefazione Tazza d’Oro fu fondata nel 1946 da Mario Fiocchetto de Saint Arnaud, il quale già dai primi del Novecento aveva altri tre caffè su via Nazionale, ma che grazie a questo nuovo locale entrò definitivamente nella Storia di Roma. A quei tempi il caffè veniva importato crudo direttamente dai paesi d’origine, senza intermediari, e il signor Mario, con passione e serietà, iniziò una lunga serie di viaggi in sud-America per conoscere di persona i coltivatori di caffè e per selezionare i chicchi migliori. Quando tornò a Roma, era ormai un vero esperto di caffè, al punto di creare egli stesso una miscela, “La Regina dei Caffè”, che è tutt’oggi una delle più apprezzate nel mondo. La passione di Mario si è trasmessa per 4 generazioni, ognuna delle quali ha contribuito a perfezionare la miscela originaria, e ancora oggi Natalia Fiocchetto porta avanti questa “aromatica” tradizione.
Il Caffè Tazza d’Oro è molto frequentato, sia per la sua posizione che per i suoi prodotti rinomati, ma anche perché, passeggiando per la piazza del Pantheon o per i vicoli circostanti, è proprio il profumo del caffè tostato che porta dritti dritti fino al locale! Infatti tra i frequentatori c’è una grande varietà: esponenti politici, professionisti, casalinghe, attori, turisti, artigiani… A volte i turisti lamentano l’assenza di tavoli, che li priva della possibilità di indugiare nelle sale che conservano ancora l’allestimento degli anni Cinquanta e un’atmosfera esotica e retrò, ma in fondo l’abitudine del caffè al banco è tipicamente italiana, e dopo un primo momento di smarrimento, anche loro iniziano ad apprezzarla!
Rispetto all’origine del nome “Tazza d’Oro”, la tradizione vuole che il fondatore non abbia assolutamente voluto legare il marchio al nome di famiglia, ritenendo che una simile strategia fosse troppo svilente per il caffè, che lui amava e rispettava, e troppo autocelebrativa! Il riferimento a una tazza d’oro gli sembrò invece un buon modo per diffondere e comunicare l’eccellenza della sua produzione.
Tra le specialità servite nell’area bar, oltre ai 10 diversi tipi di caffè, la più celebre è sicuramente la granita di caffè, normalmente servita con panna sopra e sotto e a prezzi che, considerata anche la zona, risultano più che onesti. Bisogna però ricordare anche la cosiddetta Monachella, un caffè in tazza grande ricoperto di panna montata, o ancora il Parfait de Cafè, ancora preparato secondo l’antica ricetta, recuperata dopo un periodo in cui la produzione del gustoso semifreddo era stata interrotta.
Anche gli appassionati di tè, comunque, non resteranno delusi, perché per loro è presente una vasta gamma di scelta, con tè rari e pregiati provenienti dalla Cina, dall’India e dal Giappone.
Nell’area destinata alla vendita, sarà facile perdersi tra il profumo e il fascino delle 27 miscele di caffè, i vari tipi di tè, il caffè crudo venduto in grani. Puoi acquistare caffè torrefatto, macinato o anche in cialde (chiamate “Cialde Reginella”), immergendoti nel fascino delle drogherie di una volta e scoprendo le antiche macchine da tostatura. Altri prodotti, consigliatissimi anche per fare dei regali originali, sono poi i chicchi di caffè ricoperti di cioccolata, il tipico liquore al caffè chiamato “Aroma di Roma”. E, ovviamente, sono in vendita anche le tazzine con il marchio Tazza d’Oro, diventate ormai quasi un oggetto di culto!
Insomma, sai che a Roma… questo è proprio un posto da non perdere?
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Caffè Notegen
30 Lug, 2013 | sai che a Roma...
Sai che a Roma… un altro luogo carico di fascino e di storia, e che speriamo tu abbia fatto in tempo a conoscere, era il Caffè Notegen?
Il locale si trovava in via del Babuino 150 già dal 1880, anno in cui Jon Notegen (Giovanni, per gli amici italiani…) trasferì qui la drogheria che 5 anni prima aveva aperto in via Capo Le Case. Il signor Notegen era arrivato a Roma da un villaggio svizzero, Tschlin, in cerca di fortuna, e, c’è da dirlo, ebbe una buona ispirazione, perché le cose, per lui, si misero subito piuttosto bene. Nella nuova sede di via del Babuino, rendendosi conto di quanto le persone, oltre alle spezie, apprezzassero anche il caffè, aggiunse alla drogheria anche il bar-caffetteria, la Torrefazione e, nei locali del piano di sotto, usati come deposito, impiantò quella che sembra essere stata la prima fabbrica di marmellate/confetture di Roma. Gli ospiti stranieri del vicino Hotel de Russie, contribuirono poi a rendere noto il nome di Notegen anche all’estero.
Determinanti per il successo del Caffè furono, oltre alla bravura, la spontanea simpatia e la gentilezza del droghiere, al quale nel 1915 subentrò il figlio Nicola. Ed è sotto la sua guida, nel periodo compreso tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, che il Caffè Notegen raggiunse pienamente il successo, affermandosi, insieme ad altri caffè di Roma (il Caffè Greco,Rosati, l’Aragno, il Caffè della Pace, Canova, solo per citarne alcuni), come importante punto di incontro e di ritrovo per molti artisti e intellettuali dell’epoca (che, almeno a giudicare dalla storia dei Caffè, sembra trascorressero gran parte delle loro giornate e serate a fare il giro delle caffetterie di Roma…!). Dal 1937 la terza generazione Notegen iniziò ad accostarsi alla ormai consolidata tradizione di famiglia, fino a prendere in mano le redini dell’attività: negli anni Cinquanta e Sessanta Tommaso, insieme ai fratelli minori Reto e Giovanni, decise quindi di dare impulso alla mescita di liquori, ottenendo direttamente la licenza di importatore: in questo modo gli fu possibile abbattere i costi degli intermediari ed assicurare prezzi inferiori a quelli correnti sul mercato. Le pregiate marche di whisky del Notegen divennero presto famose in tutta la città, mentre la fabbrica di marmellate, a partire dagli anni Cinquanta, fu trasformata in un teatro.
Anche grazie alla vicinanza con la storica via Margutta, il Notegen fu particolarmente apprezzato dagli artisti della capitale, ma sempre in una eclettica mescolanza con le diverse personalità del mondo culturale. Tra i nomi celebri che negli anni hanno frequentato, più o meno assiduamente, il Caffè ricordiamo D’Annunzio (che, a quanto si dice, era solito regalare alle sue amanti proprio le marmellate di Notegen…), Sibilla Aleramo, Carlo Levi, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Fellini, Corrado Cagli, Alfonso Gatto, Zavattini, Bertolucci, Guttuso e Sante Monachesi, Schifano, Corrado Alvaro, Pirandello, Adriano Olivetti, Eva Fischer, Linuccia Saba, Milena Milani, Maria Luisa Spaziani, Josif Brodskij (Nobel per la Letteratura nel 1987), Novella Parigini, Giovanni Spadolini, Sylva Koscina, Giulietta Masina…
Nel 1985, anche a causa di una sopravvenuta e generalizzata crisi che colpì molte attività del centro storico, Tommaso decise di abbandonare il Caffè e di trasferirsi in Spagna. Ci fu una grande mobilitazione, fino a che la questione non fu portata in Consiglio Comunale e poi anche in Parlamento, con la richiesta dei Verdi di salvaguardare “un esercizio di profonde tradizioni e caro da oltre cento anni a intellettuali, personalità dell’arte, della poesia, dello spettacolo”. La soluzione prevede che Notegen si trasformi in una Società: ne fanno parte Reto Notegen e la moglie Teresa, genitori di Claudio, e l’amico Paolo Pederzoli, che si impegnano in questo modo a cercare di mantenere viva l’antica tradizione.
Nel 1988 il locale venne restaurato restituendo alle sale l’aspetto ottocentesco che avevano perso nel corso di lavori precedenti effettuati negli anni Sessanta. La “saletta delle marmellate”, con i suoi intonaci grezzi e le panche di legno rivestite in velluto rosa, iniziò ad essere utilizzata anche per riunioni culturali, presentazioni di libri e reading di poesie. Al piano superiore, tra i tavoli del bar e del ristorante, talvolta, a sancire il profondo legame con il mondo dell’arte e con gli artisti stessi, si allestivano esposizioni di opere d’arte.
Nel 2002, ancora il rischio di chiudere a causa di una ingiunzione di sfratto, dovuta all’impossibilità di far fronte alla richiesta di aumento del canone di affitto da parte dell’Accademia di San Luca, proprietaria del locale gestito da Teresa Notegen. Anche in questo caso, la solidarietà e l’amore dei cittadini per questo storico Caffè, portarono a un interessamento da parte della autorità cittadine, con la possibilità di avere accesso ai finanziamenti della delibera comunale per le botteghe storiche, in modo da riuscire a sostenere le spese di locazione. La situazione sembrò risolta ma purtroppo nella primavera del 2007 giunse lo sfratto esecutivo. Questa volta, inspiegabilmente, tutto passó quasi sotto silenzio, compreso il fatto che poco dopo i sigilli dello sfratto vennero rotti abusivamente, e il Caffè per un periodo fu gestito da qualcuno che approfittó del nome e del lavoro che per più di un secolo la famiglia Notegen aveva svolto con passione e dedizione. Poche le notizie relative a questa assurda vicenda. Quello che oggi, invece, è tristemente sotto gli occhi di tutti è che il Caffè Notegen non c’è più. Al suo posto, un anonimo outlet.
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Caffè Rosati a piazza del Popolo
22 Lug, 2013 | Mangiare & Bere, sai che a Roma...
Sai che a Roma… tra i caffè storici c’è anche il caffè Rosati in piazza del Popolo?
Benché non sia esattamente tra i caffè più antichi della della capitale, il caffè Rosati in piazza del Popolo ha comunque acquisito lo status di “storico” sia per l’importanza che ha assunto nell’ambiente culturale romano del Novecento, sia per una ormai effettiva sopravvenuta anzianità che è, in ogni caso, di tutto rispetto: l’apertura di Rosati risale infatti al 1922!
Negli ultimi tempi, purtroppo, il caffè Rosati ha spesso raggiunto gli onori della cronaca a causa dei suoi prezzi che, pur considerando la posizione più che privilegiata , risultano davvero eccessivi, lasciando ai clienti l’amara sensazione di essere finiti nell’ennesima trappola per turisti. L’ultimo episodio risale a pochi giorni fa, con 17,55 euro pagati per due caffè e una micro-bottiglietta d’acqua.
Di sicuro sono lontani i tempi in cui lo sceneggiatore Ugo Pirro, come lui stesso raccontò, poteva sedersi ai tavolini, incontrare Pasolini ed Elsa Morante, e non ordinare neanche un bicchiere d’acqua!
Nonostante la deprecabile caduta di stile del locale, ci sembra comunque il caso di ripercorrere la storia di questo luogo cosmopolita e stimolante, che ha accolto i protagonisti della cultura italiana letteraria ed artistica di gran parte del XX secolo, assistendo alla nascita di dibattiti, idee, soggetti e intere sceneggiature e che ha dato ospitalità alle menti più feconde che si trovavano a Roma.
All’inizio del Novecento, al posto del caffè Rosati, c’era una semplice ma apprezzata latteria, che aveva già inaugurato una tradizione legata alla freschezza e genuinità dei suoi prodotti. Nel 1922 due fratelli acquistarono la latteria, trasformandola. Essi non erano né inesperti, né sprovveduti, in quanto facevano parte di quella famiglia Rosati che aveva già aperto, nel 1911, un caffè (anch’esso caffè Rosati) piuttosto frequentato in via Veneto; ben presto quindi, il loro divenne uno dei caffè più famosi di Roma. Già dagli anni Trenta iniziò ad annoverare, tra i propri affezionati, i pittori della vicina via Margutta e, in qualche occasione, sembra che anche il grande Trilussa abbia sostato tra questi tavoli. Se fino alla metà degli anni Quaranta i luoghi preferiti dagli intellettuali romani erano il caffè Aragno e il caffè Greco, Rosati iniziò ben presto ad affermarsi come una valida alternativa, raggiungendo nel secondo dopoguerra l’apice della popolarità. Uno dei primi letterati che scelsero Rosati come luogo preferito per le proprie riunioni colte fu il poeta Vincenzo Cardarelli. Negli anni Cinquanta e Sessanta era frequente incontrare Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia con la moglie Elsa Morante, tanti cineasti e artisti come Giosetta Fioroni, Angeli, Festa e Schifano. Ancora,
Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini al caffè Rosati di piazza del Popolo
nel tempo, citiamo i nomi di Talarico, Mazzacurati, Flaiano, Franco Monicelli, Trombadori, De Chirico, Guttuso, Bartoli, Maccari, Libonati, il gruppo del Mondo, e spesso anche Rossellini. Non era raro trovarci Fellini, che veniva a incontrare Flaiano, Simone de Beauvoir che parlava fitto fitto con Sartre, Carlo Levi, Vittorini, Cascella, Marina Lante della Rovere, Luccichenti, Vittorio Caprioli, Mazzarella, Franca Valeri, Gassman, Bernardo Bertolucci… Questa speciale commistione tra arte, letteratura, cinema ha fatto di questo luogo un polo culturale di primissima categoria. Almeno fino agli anni Settanta, quando iniziò una sorta di decadenza, non solo dei caffè, ma, per certi versi, anche della cultura in generale (e forse non ne è estraneo lo strapotere che sempre più inizierà ad assumere la televisione…). Il pittore Bruno Caruso racconta che Flaiano e Mezzocamino, guardando dalla piazza la nuova clientela di Rosati, composta ormai da giovani capelloni che avevano come massima aspirazione quella di partecipare come controfigura a qualche film western italiano, abbiano commentato, sprezzanti: “Credono di essere noi!”
Da Rosati si andava per l’aperitivo, mentre le signore della buona borghesia si fermavano spesso per un tè pomeridiano o, la domenica mattina, dopo la messa, per comprare le paste (le pastarelle, a Roma!). L’estate, poi, le chiacchierate dopo cena, al fresco del ponentino, magari con un gelato o sorseggiando una bibita, erano quasi un obbligo. All’una e mezza o alle due Rosati chiudeva, ma erano altri tempi, e i tavoli potevano essere lasciati fuori, così discorsi, progetti e discussioni potevano proseguire, tra i più nottambuli, fino alle tre o alle quattro di mattina.
L’interno del locale era, ed è, elegantemente arredato, con ricche boiserie e mobili pregiati. Anche i lavori di ristrutturazione hanno rispettato l’antico allestimento, lasciando ogni cosa esattamente al suo posto, tanto che i mobili sono stati fatti restaurare a Firenze, dove erano stati fabbricati! Il Trombadori non mancò di sottolineare l’evento della riapertura con i seguenti versi:
S’ariapre Rosati, allegramente!
M’ero messo pavura che chiudeva
domani invece ce sarà più gente
de quanta prima già se lo godeva.
In tempi de talento scarseggiante
un Caffè con la Storia su le mano
è un richiamo
‘no specchio stimolante
Un’ultima curiosità, è ancora legata all’eclettico Flaiano e alla sua pungente ironia. Egli infatti diceva che davanti a Rosati c’era sempre una buca con la scritta “Lavori in corso” e che per capire di quali lavori si trattasse, sarebbe stato necessario svelare i segreti politici della città!
Insomma, a restare sempre uguali non sono solo i mobili di Rosati…
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Sai che a Roma… puoi potevi (il bar è stato purtroppo chiuso nel 2016) prendere un caffè e fare una pausa rilassante all’Antico Caffè della Pace? E’ uno dei caffè storici di Roma, ed esiste dal 1891, nonostante alcune testimonianze, come, ad esempio, alcune incisioni di G.B. Piranesi, documentino la sua esistenza già dal secolo precedente. Si trova alle spalle di piazza Navona, in via della Pace 3/7, accanto alla chiesa di Santa Maria della Pace, con la sua facciata progettata da Pietro da Cortona, e il celebre chiostro del Bramante.
L’Antico Caffè della Pace, noto anche, più semplicemente, come Bar della Pace, cattura subito ogni sguardo grazie al suo magnifico porticato rivestito di edera, dall’effetto quasi magnetico nei confronti dei turisti stanchi, ma anche dei Romani e di chiunque sappia godersi la vita riuscendo a ritagliarsi i giusti tempi per vivere le bellezze di una città come Roma.
E così dovette essere fin dal XIX secolo, quando il caffè fu eletto come punto di incontro di molti artisti e intellettuali, politici e personaggi dello spettacolo: a partire dallo scultore Thorwaldsen (e anche questa tradizione conferma l’esistenza del caffè già prima del 1891, visto che lo scultore morì nel 1844!) e altri artisti danesi, fino ai pittori della Scuola Romana come Scipione, Mafai, Guidi, Trombadori, Francalancia. Insieme a loro, anche poeti come Ungaretti e Caproni e varie personalità della cultura del Novecento, tra cui i registi Monicelli e Bolognini o ancora, come racconta il paparazzo Barillari, i pittori Schifano, Testa, Angeli e Fioroni. In questo Caffè nacque anche la Transavanguardia: siamo agli inizi degli degli anni ’80 e di sicuro il merito va anche, in parte, al locale che agevolò i fecondi incontri tra il critico Bonito Oliva e i pittori Cucchi, Clemente e Paladino. In tempi più recenti, anche alcuni personaggi dello spettacolo non hanno potuto resistere al fascino dell’Antico Caffè della Pace: Madonna e Spike Lee, per esempio, hanno approfittato delle magnifiche suggestioni di questo locale carico di storia.
La famiglia Serafini, proprietaria del caffè (ma non delle mura…) da circa 40 anni, ha contribuito a mantenere intatta l’atmosfera dell’epoca, conservando intatto il fascino del particolare arredamento (un misto di stile liberty, barocco e Impero), capace ancora oggi di evocare i frequentatori di un tempo e di rendere più sensibili e ispirati anche gli avventori di oggi (tranne rari e irrimediabili casi…!).
L’ambiente interno, dotato di 3 incantevoli salette, è arredato, oltre che dal bancone, con tavolini, divani e sedie, statue e colonne, ma quello che più richiama l’attenzione è la ricca suppellettile d’epoca, che finisce per moltiplicarsi nel gioco di luci e di rimandi creato dalle antiche specchiere (un’attenzione particolare va rivolta al vecchio, straordinario registratore di cassa).
Purtroppo il 10 giugno del 2013 la famiglia Serafini ha ricevuto lo sfratto dal proprietario dello stabile, il Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima. Il contratto di locazione è infatti scaduto dal 2009, e l’ente non ha voluto rinnovarlo: sembra che l’edificio sia destinato a diventare un albergo. Al momento, molti cittadini, diverse associazioni e alcuni esponenti politici si stanno attivando per evitare che un’altra importante Bottega Storica, come è il Caffè della Pace, debba cessare l’attività, perdendo con essa un pezzo di Storia della Capitale.
Leggi anche: Caffè della Pace, tutti in piazza contro lo sfratto (link esterno)
Aggiornamento: Sentenza definitiva. Il 27 febbraio 2014, nonostante appelli, raccolte di firme e manifestazioni di solidarietà, il Bar della Pace ha ricevuto lo sfratto definito. La giustizia, del resto, si occupa di far applicare le leggi… con buona pace di Storia, cultura, tradizioni e turismo! Se al suo posto sia davvero previsto un albergo, non si sa: l’istituto religioso ha scelto la strada del silenzio, nel tentativo di rispondere all’inevitabile clamore che sta seguendo la notizia dello sfratto. Uno sfratto legale, e una vicenda nella quale sembra non sia possibile raggiungere una soluzione di compromesso, che possa evitare la chiusura dello storico locale. La stessa proposta presentata dalla senatrice Daniela Valentini, con la quale si vorrebbero equiparare le le botteghe storiche ai beni monumentali, non potrà certamente essere approvata in tempi utili ad evitare lo sfratto del Caffè della Pace. Una proposta arriva dall’assessore al Commercio Marta Lenori, la quale suggerisce che in un eventuale albergo che dovesse aprire in questo edificio, si potrebbe pensare di inglobare l’Antico Caffè della Pace. Al momento, si continuano ad organizzare manifestazioni volte a riportare l’attenzione pubblica su questa spinosa vicenda, ma per il resto, sembra proprio che si possa sperare solo nella sensibilità culturale della proprietà dell’edificio.
Una mozione per salvare lo storico bar arriverà presto in Campidoglio, mentre prosegue la raccolta di firme per la petizione “Salva il caffè della Pace, no alla chiusura dell’antico caffè”, promossa dalla famiglia Serafini. Si può aderire recandosi direttamente in via della Pace, oppure online, tramite i siti www.firmiamo.it o www.change.org
Ci auguriamo profondamente che questa vicenda possa concludersi nel migliore dei modi, e cioè riuscendo, in qualche maniera, a salvaguardare questo locale che tanto ha contribuito allo sviluppo culturale di Roma.
Ancora: La raccolta firme e l’impegno istituzionale hanno fortunatamente incontrato la ragionevolezza del rettore del Pontificio Istituto Teutonico: nel corso di un incontro tenutosi il 24 marzo 2014 in prefettura, e al quale erano presenti anche l’assessore alla Roma produttiva, Marta Leonori, i senatori Daniela Valentini e Maurizio Gasparri e il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, il rettore, riconoscendo il grande valore storico e culturale del Caffè della Pace, avrebbe deciso di mantenere l’attuale destinazione d’uso dei locali, godendo in tal modo anche del valore aggiunto che la presenza di un’attività storica conferisce all’immobile.
Purtroppo: nel 2016 purtroppo il Caffè della Pace è stato infine chiuso, nell’indifferenza delle istituzioni, comprese quelle che avevano finto di interessarsi alla vicenda.
8 Lug, 2013 | Mangiare & Bere
Renato Guttuso – Caffè Greco (1975) – Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
Sai che a Roma… il Caffè più antico è quello Greco?
Proprio così, il caffè più antico di Roma è l’Antico Caffè Greco, così chiamato in riferimento all’origine del suo fondatore, Nicola della Maddalena. Il caffè, come si legge sulla soglia, esiste almeno dal 1760 ed è non solo il più antico di Roma, ma anche il secondo più antico d’Italia (il primo è il Florian di Venezia): è così antico, in effetti, che l’Italia come la intendiamo oggi, non esisteva ancora (il Regno d’Italia nacque nel 1861 e Roma ne entrò a far parte nel 1870)! E come ricorda una targa posta all’ingresso del Caffè, fin dal 1953 il Ministero della Pubblica Istruzione ha dichiarato questo locale “di interesse particolarmente importante”. Nel 1806 il prezzo del caffè aumentò notevolmente a causa del blocco continentale imposto da Napoleone. Gli altri caffettieri di Roma, per paura di perdere la clientela, tentarono di mantenere costante il prezzo delle tazze di caffè, mischiando alla preziosa polvere farine di ceci, di soia o di castagne. Al caffè Greco invece si continuò ad usare sempre e solo puro caffè; il prezzo raddoppiò e la tazza diventò più piccola (quella che viene usata ancora oggi): l’aroma inconfondibile del vero caffè, però, decretò il successo definitivo del locale.
Il locale si trova nella centralissima via Condotti, al numero 86, ed entrandovi il profumo del caffè si mischia inevitabilmente con quello della Storia e dell’Arte: al suo interno sono esposte infatti più di 300 opere d’arte e cimeli storici, e le stesse sale, che oggi si presentano nel loro aspetto ottocentesco, sembrano ancora popolate dagli intellettuali, dagli artisti e dalle grandi personalità che negli anni le hanno frequentate, rendendo il Caffè il più importante punto di ritrovo per artisti e intellettuali che si trovavano nella capitale, stabili o di passaggio. Tra i numerosi avventori illustri, possiamo ricordare Hector Berlioz, Buffalo Bill, Vitaliano Brancati, Giacomo Casanova, Gabriele D’Annnunzio, Massimo D’Azeglio, Giorgio De Chirico, Lady Diana, Ennio Flaiano, Nikolai Vasilyevich Gogol, Edvard Grieg, Renato Guttuso, forse anche Giacomo Leopardi (che abitò lì a fianco), Carlo Levi, Aldo Palazzeschi, Cesare Pascarella, Andrea Pazienza, Franz Liszt, Arthur Schopenhauer, Stendhal, Toro Seduto, Renzo Vespignani, Richard Wagner, Orson Welles… moltissimi letterati, filosofi, pittori, scultori e musicisti contribuirono a fare del Caffè Greco il Caffè letterario per antonomasia.
Famosi e suggestivi sono poi i tavoli con marmi antichi, ognuno diverso dagli altri e attorno ai quali i camerieri, rigorosamente in frac, si muovono con la consueta professionalità per servire le specialità della casa.
Antico Caffè Greco
Nella celebre sala Omnibus, ogni primo mercoledì del mese, ancora oggi si raduna il Gruppo dei Romanisti, studiosi e accademici specializzati in studi relativi alla Capitale, che dal 1940, ogni anno, in occasione del Natale di Roma, pubblicano i loro lavori nella “Strenna dei Romanisti”.
Tra le varie curiosità, si ricorda che il Caffè Greco ha ispirato il pittore Renato Guttuso, che proprio a questo locale ha dedicato una sua celebre opera, esposta a Madrid (Museo Thyssen-Bornemisza); la Sala Rossa è invece ritratta sulla copertina del 45 giri di Mia Martina “Minuetto/Tu sei così, del 1973. Numerosi sono poi gli aneddoti o i racconti che riguardano alcuni dei personaggi che animavano il caffè: lo scrittore Stendhal (vero nome Henry Beyle) sarebbe giunto nel Caffè alla ricerca del pittore Stefano Forby, che, a quanto gli avevano riferito, gli somigliava moltissimo e che della caffetteria era un abituale cliente. E qui infatti lo scrittore lo trovò, restando però molto male nel constatare quanto il pittore fosse brutto…! Anche su Casanova, ovviamente, c’è un racconto… Si dice che un giorno, quando era un giovane abate, fu chiamato all’interno del caffè dal cardianale Gama, che lì si trovava con alcuni abati. Casanova scambiò per errore un famoso castrato lì presente (tale Giuseppe Ricciarelli, alias Beppino della Maremma) per una donna vestita da uomo. Quando il cardinale Gama, spiegando l’equivoco, glielo presentò, al bel Casanova fu subito proposta una notte di passione, con l’opportunità di poter svolgere sia un ruolo attivo che passivo!
Sulla qualità del caffè e della pasticceria, come è normale che sia in fatto in gusti, ci sono pareri discordanti, ma quello su cui tutti sono d’accordo è che, nonostante i prezzi sostenuti, una sosta all’Antico Caffè Greco sia un’esperienza da fare!
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