E’ sparato mezzogiorno! Il cannone del Gianicolo

cannone gianicolo

Il cannone del Gianicolo. Foto da www.repubblica.it

Sai che a Roma…è sparato mezzogiorno?
La gente a Roma con questo modo di dire si riferisce al cannone del Gianicolo che a mezzogiorno spara un colpo a salve per indicare il segnale dell’ora esatta. Prima il cannone era a Castel Sant’Angelo e al suo sparo rispondevano le campane di tutte le chiese di Roma. Quindi il mezzogiorno era non solo “sparato”, ma anche “suonato”. La cannonata di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma. Successivamente – nel 1904 – il cannone fu spostato a Monte Mario e poi sistemato definitivamente al Gianicolo. Quando il segnale era dato, la vita in città si fermava, e veniva ridata simultaneamente la carica agli orologi tascabili allora in uso. Poi l’orologio veniva riposto con cura nel taschino del panciotto e la vita andava avanti…Ma il 10 maggio del 1912 non andò proprio così… Accadde infatti che a mezzogiorno il cannone non sparò e che invece gli abitanti vennero allarmati da uno sparo improvviso alle 16.50. Un ritardo di ben 4 ore e 50 minuti! Cosa era successo? Semplicemente il cannone, benché caricato dal maresciallo Umberto Onori e da un soldato di artiglieria, non aveva sparato all’ora giusta perché aveva compiuto uno scatto a vuoto. Al momento si decise di non far sparare il cannone in ritardo e si rinunciò allo sparo. Nel pomeriggio però il maresciallo tornò al Gianicolo, non ritenendo sicuro lasciare il cannone carico durante la notte…e così il cannone sparò improvvisamente spaventando a morte la popolazione.
Il cannone del Gianicolo fu fatto tacere durante i conflitti mondiali e l’occupazione di Roma, periodo in cui i colpi di cannone si udivano ad ogni ora. Dopo la liberazione di Roma il segnale del mezzogiorno fu affidato alle sirene d’allarme antiaereo, quelle che durante la guerra segnalavano la presenza dei bombardieri.
Finalmente nel 1959, grazie ad una petizione popolare promossa dalla trasmissione il Musichiere, il cannone tornò a sparare il mezzogiorno. Era il 21 Aprile 1959, 2712° compleanno di Roma.

L’alluvione del 1530 a Roma: Un cantastorie racconta…

Targa in via della Minerva. "Fin qui crebbe il Tevere e già del tutto sommersa sarebbe stata Roma se la Vergine non avesse qui recato la sua celere opera"

Targa in via della Minerva.
“Fin qui crebbe il Tevere e già del tutto sommersa sarebbe stata Roma se la Vergine non avesse qui recato la sua celere opera”

Sai che a Roma… vogliamo condividere questa chicca? Si tratta di un brano di un cantastorie del Cinquecento, tratto da un codice dell’epoca, contenente la narrazione  della spaventosa inondazione che il 7 ottobre 1530 colpì la città (in realtà una targa in via della Minerva ascrive l’evento all’8 ottobre, ma del resto l’alluvione si verificò di notte…). In quell’occasione il Tevere raggiunse 18,95 m. Morirono circa 3.000 persone e più di 300 case andarono distrutte.

Diluvio di Roma che fu a VII d’Ottobre l’anno MDXXX in tempo di papa Clemente VII.

Spirti gentili che in sonoro carme
Cose bramate udir’ altiere e nove
attentamente ognun prego ascoltarme
e sia sempre con voi l’eterno Giove.
Un caso strano non d’amor o d’arme
ma che ogni duro core al pianger move.
Chi sera di pietà sì nudo in tutto
che possa ritenere il viso asciutto?
Voi sentirete in doloroso Idioma
che la mia Lira in pianto si riversa
Di quella afflitta e sconsolata Roma
che è sta’ dal proprio fiume suo sommersa.
Et l’acqua s’innalzò sopra la chioma
d’ogni alta torre, sì che è guasta e persa
ogni bellezza sua, piena è di lezzo
quella che si nutriva in piume al rezzo.

Ettore Roesler Franz, La via Fiumara, nel Ghetto, inondata. Acquerello. Data presunta: ante 1883

Ettore Roesler Franz, La via Fiumara, nel Ghetto, inondata. Acquerello. Data presunta: ante 1883

Bisognarebbe ordir lungo volume
narrar dil danno la millesima parte.
La notte comenciò spargere il fiume
ruppe ripari fatti con grand’arte
e nanti lo apparir del chiaro lume
l’Acque per tutta Roma erano sparte
in tanta copia che ogni strada un mare
parea, e con barche si potea solcare.
Sparse per l’acqua le Reliquie sante
tempii, palazzi e case roinate
tanti huomini son morti e donne tante
che non han fine, e assai bestie annegate.
Robbe per l’uso umano quali e quante
e vettovaglie son sott’acqua andate;
non vi si pò abitar per anni cento
si chel nome di Roma in tutto è spento

Da un codice cinquecentesco.

La Candelora 2 febbraio

 

2 febbraio festa della Candelora

Sai che a Roma… il 2 febbraio, in occasione della festa religiosa della cosiddetta Candelora (a Roma “Cannelòra”), un famoso detto recita così?

Si c’è er sole o fa gragnòla

de l’inverno semo fora.

Ma si piove o tira vento

de l’inverno semo drento

In pratica, la tradizione popolare sostituisce il servizio meteorologico, informandoci che in caso di sole o di grandine (gragnòla) possiamo stare sicuri che l’inverno volge ormai al termine. Se invece il tempo dovesse risultare piovoso o ventoso, per la bella stagione bisognerà avere ancora un po’ di pazienza!

Un 2 febbraio uggioso è invece interpretato in modo più pessimistico e funesto in un altro modo di dire:

Cannelòra mesta mesta,

o disgrazia o tempesta.

Ricordiamo che la Candelora è una festa cristiana istituita nel V secolo ad opera di papa Gelasio I (492-496 d.C.), con l’intento di sovrapporsi alla cerimonia pagana dei Lupercali, che cadeva il 15 febbraio (fu poi l’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, ad anticiparla al 2 febbraio). La festa, a cui era associata una processione penitenziale (come nella migliore tradizione ecclesiastica!), ricorda la presentazione di Gesù al tempio e conclude il ciclo liturgico del Natale. A Roma, tradizionalmente, la processione che aveva inizio presso la chiesa dei santi Luca e Martina dopo che il papa, secondo una tradizione nata in Francia intorno all’anno Mille, aveva distribuito al popolo e ai cardinali le candele accese (ed ecco perché candelora…). Ancora oggi il rituale prevede che nelle chiese vengano distribuite candele benedette che, secondo una consolidata tradizione popolare, avrebbero una speciale funzione di protezione contro le tempeste, la caduta dei fulmini e gli spiriti maligni. I ceri benedetti erano e talvolta sono tutt’oggi conservati nelle case con un sentimento misto di devozione e superstizione, per essere accesi in occasioni particolari, per placare l’ira divina, durante violenti temporali, aspettando il ritorno di qualcuno caro, al capezzale di un moribondo, durante le epidemie o i parti difficili.

Per un certo periodo in questa stessa data si celebrò anche la purificazione di Maria, avvenuta, secondo la tradizione ebraica, 40 giorni dopo il parto. Più tardi però, con il concilio vaticano II, la festa è tornata ad assumere l’originario carattere cristologico.

E sai che invece negli Stati Uniti e in Canada… il 2 febbraio è il giorno della Marmotta? La consuetudine vuole che il 2 febbraio si osservi la tana di una marmotta e, se questa uscendo non vedrà la sua ombra perché il tempo è nuvoloso, significa che l’inverno è agli sgoccioli; se, al contrario, la marmotta si spaventerà della sua stessa ombra tornando nella tana, bisognerà aspettarsi ancora sei settimane di freddo! La tradizione del Groundhog Day (questo il nome originale) è nata in Pennsylvania, in un paese chiamato Punxsutawney: è esattamente il posto in cui è stato girato il famoso film con l’attore Bill Murray, costretto a rivivere continuamente la stessa giornata. Come dimenticarlo…

 

La civetta di Marco Aurelio

Marco Aurelio

Copia della statua di Marco Aurelio (piazza del Campidoglio, Roma)

Sai che a Roma… c’è una civetta sul cavallo di Marco Aurelio?
La civetta canterà preannunciando la fine del mondo e volerà via quando tutta la statua equestre di Marco Aurelio “scoprirà in oro”, cioè tornerà interamente in oro . Questo dice un’antica leggenda e da qui viene anche il modo di dire, ormai non più usato, “scoprì in oro come Marcurelio”, ovvero “essere alla fine”. La statua di Marco Aurelio è in bronzo dorato, e resta qua e là ancora qualche traccia di doratura. La civetta è proprio lì, tra le orecchie del cavallo, anche se in realtà non di una civetta si tratta, ma solo del ciuffo della criniera. Al momento della realizzazione della copia della statua equestre da esporre in Piazza del Campidoglio, i superstiziosi temevano che il gemello del Marco Aurelio potesse splendere nella sua nuova doratura, e quindi “scoprire in oro” e far avverare la profezia. Ma la doratura non fu realizzata, perché poteva ottenersi solo usando mercurio, sostanza altamente inquinante. E la civetta è ancora lì…

Ma da dove arriva la statua?

Si tratta di un originale in bronzo realizzato sotto lo stesso Marco Aurelio (161 – 180 d.C.) e collocato verosimilmente (ma al riguardo non si hanno notizie certe) al Foro Romano, oppure nella piazza circostante la Colonna Antonina e che ospitava il tempio dinastico degli Antonini stessi.

Si tratta dell’unica, tra le 22 statue che le fonti tardo-imperiali chiamano equi magni per le loro dimensioni maggiori del reale, che sia giunta integra fino ai nostri tempi. E sembra che questa fortuna gli derivi nientemeno che… da un equivoco scambio di persona!

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Originale della statua di Marco Aurelio. Musei Capitolini, Roma

L’imperatore raffigurato infatti fu erroneamente ritenuto Costantino, il primo imperatore cristiano, e solo per questo riuscì a salvarsi da una redditizia fusione del prezioso metallo in cui era realizzata. La statua del resto, con certezza dal X secolo, ma probabilmente già dalla fine dell’VIII, si trovava al Laterano, l’area dove Costantino eresse la prima basilica cristiana, e fino alla fine del Quattrocento era nota come Caballus Constantini.

Un’altra e più fantasiosa tradizione identifica invece il cavaliere nel “grande villico”, cioè un grosso contadino, che secondo una leggenda riuscì a fermare un’invasione di barbari: il loro re infatti, ogni notte si allontanava, da solo, per fermarsi davanti a un albero e ascoltare il canto di una civetta. Approfittando dell’occasione, il contadino lo assalì e lo uccise, mentre i Romani invadevano l’accampamento nemico ormai privo della propria guida.

Nel 1538, per volere di papa Paolo III Farnese, la statua fu trasportata sul Campidoglio e fu Michelangelo, a cui venne affidato l’incarico di sistemare la piazza, a realizzare il basamento ancora oggi visibile di fronte al Palazzo Senatorio, a sostegno della copia della statua. In questa occasione fu anche istituita la carica onorifica di “Custode del Cavallo”, un nobile designato direttamente dal papa e la cui retribuzione era alquanto bizzarra: dieci libbre di cera, tre di pepe, sei paia di guanti, due fiaschi di vino e… confetti!

L’orginale è stato spostato nel 1981 per consentire un importante lavoro di restauro durato fino al 1988. Per preservare il bronzo antico dell’opera si decise di evitare che tornasse all’aperto e così, nel 1990, il Marco Aurelio è stato collocato provvisoriamente in un ambiente protetto nel cortile dei Musei Capitolini e successivamente spostato nel Giardino Romano, al primo piano del Palazzo dei Conservatori, opportunamente coperto con una copertura a vetrata.

Al suo posto, nel 1997, fu sistemata la riproduzione ancora oggi visibile.

 

So’ finite le messe a san Gregorio!

San Gregorio al Celio Foto da www.ministry.com

San Gregorio al Celio
Foto da www.ministry.com

Sai che a Roma… ti auguriamo “d‘avecce er gregorio?”
Il termine “gregorio” usato nel senso di fortuna, deriva dal fatto che San Gregorio, insieme all’immaginario San Culàzzio, era il protettore delle persone fortunate al gioco. Infatti per indicare una situazione particolarmente propizia si dice anche “avecce San Gregorio pe’ protettore“.
E il santo viene chiamato in causa anche quando si vuole indicare che la fortuna sembra improvvisamente abbandonare chi invece ci faceva conto: in questo caso si potrà sentir dire “So’ finite le messe a San Gregorio!“. La chiesa di San Gregorio al Celio infatti era autorizzata a celebrare una messa per i ritardari, alle 13, offrendo loro, all’ultimo momento, la fortunata possibilità di non perdere la funzione ecclesiastica. Ma, dopo l’una, le messe finivano anche lì, cosí come la fortuna puó improvvisamente voltarti le spalle!

La bibliolibreria Plautilla

PlautillaSai che a Roma… non ci manca neanche una bibliolibreria gratuita? Ed è la prima in Italia…
Se ti stai chiedendo cosa sia, ti rispondiamo subito e in modo sintetico: Plautilla è una gran bella idea! Si tratta di uno spazio dedicato ai libri, dove ognuno è totalmente libero di dare, ricevere o scambiare libri usati ed è un luogo in cui la lettura e la cultura diventano un importante fattore di socializzazione all’interno del quartiere (Plautilla si trova a Monteverde, in via Colautti 28-30).

Funziona più o meno così: chiunque abbia il buoncuore (ma a volte fare spazio in casa è una vera e propria necessità…) di donare qualche libro, partecipa all’accrescimento del patrimonio della bibliolibreria e permette ai libri di rinascere a nuova vita. Chi si reca da Plautilla, può consultare i libri o prenderli in prestito, decidendo autonomamente se riportare i libri o tenerli. Per chiunque ami la lettura e creda nel valore della sua diffusione, la bibliolibreria è meglio di un sogno!

E non finisce qui… Intanto, ti vogliamo parlare degli importanti aspetti sociali che entrano a far parte del progetto già a partire dalla scelta del luogo. La struttura infatti, nata grazie all’associazione Monteverdelegge e al Centro Diurno Giovagnoli (DSM ASL Roma D) si trova all’interno del DSM stesso (Dipartimento di Salute Mentale), riuscendo così a coinvolgere più facilmente persone con disagi di origine psichica, che tanto giovamento possono trarre dalla lettura e dalla socializzazione (e i vantaggi non sono solo per loro…). Il libro è un valore che crea legami e contatti. E proprio la socializzazione, come dicevamo, è un altro degli obiettivi di Plautilla: qui si parla, si fa conversazione e si partecipa alle attività organizzate dai volontari: letture ad alta voce, incontri e  laboratori sempre nuovi (qui trovi il dettaglio delle attività).

Plautilla è aperta il lunedì dalle 9.30 alle 18.30;
il martedì dalle 16.00 alle 19.30;
il giovedì dalle 17.00 alle  19.30.

Puoi portare ogni tipo di libro, con l’eccezione dei testi scolastici, delle vecchie enciclopedie e dei manuali specialistici, e non puoi prendere più di due libri alla volta.

E ora veniamo al mistero del nome. Chi è Plautilla? Il riferimento non è alla moglie dell’imperatore Caracalla, perché la Plautilla a cui è stata intitolata la bibliolibreria è meno “anziana” e soprattutto più profondamente legata al territorio di Monteverde: si tratta di Plautilla Bricci, prima donna architetto dell’era moderna, alla quale si deve la Villa detta il Vascello, che esisteva presso Porta San Pancrazio e che fu gravemente danneggiata nel corso degli scontri legati all’esperienza della Repubblica Romana (1849). Altra sua opera famosa è la cappella di San Luigi all’interno della chiesa di San Luigi dei Francesi (1664). Questa donna ingiustamente dimenticata, trova ora il suo riscatto, e il suo nome risplende in quello di progetto di altissimo profilo.

 

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