Peccato che nun ce sii l’impiccato!

Forca-patibolo-tortura-impiccagione-impiccati-Giovanni-Sercambi-2Sai che a Roma… con l’espressione “peccato che nun ce sii l’impiccato” si indicava una bella giornata, quasi perfetta, in cui però l’unico elemento mancante era lo spettacolo gratuito di una “bella” impiccagione? 

Le esecuzioni capitali facevano parte delle attrazioni che la Roma papalina offriva ai romani, viandanti o pellegrini, i quali, oltre a visitare i monumenti dell’antichità classica e i luoghi di culto, potevano provare emozioni forti grazie allo spettacolo del boia. Era così forte il gusto sadico della plebe romana nell’assistere alle “giustizie” (così erano chiamate le esecuzioni capitali), che queste erano considerate vere e proprie feste. In una stessa giornata era poi possibile assistere anche a numerose esecuzioni, intervallate da esibizioni di saltimbanchi e giocolieri.

impiccagioneL’uccisione del condannato al patibolo rispondeva all’esigenza, da parte delle autorità, di punire il colpevole in maniera esemplare, in modo tale da rappresentare un monito per tutti i cittadini. L’impiccagione era solo uno dei tanti metodi previsti. Tra i molti altri metodi diffusi c’erano la decapitazione,  la lapidazione, l’impalamento, la ruota, il rogo, solo per citarne alcuni.

Le esecuzioni erano talmente frequenti che i patiboli erano parte integrante dell’arredo urbano delle principali piazze. I luoghi principali dove avvenivano le  esecuzioni capitali  erano Piazza Campo de’ Fiori, Piazza Navona, il Campidoglio, Ponte Sant’Angelo, o le carceri con annessi tribunali di Tor di Nona e la scomparsa Corte Savella.

Così il Belli ricorda l’impiccagione di Camardella, condannato a morte  nel 1749, colpevole dell’omicidio di un prete da cui era stato frodato. L’esecuzione  era avvenuta quasi un secolo prima e il ricordo dell’evento era ancora vivo nella memoria dei romani. Belli non aveva assistito al fatto, ma lo racconta come se lo avesse vissuto in prima persona, con gli occhi di un ragazzino:

 

Il Ricordo

 

Er giorno che impiccorno Gammardella

io m’ero propio allora accresimato.

Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato

me pagò un zartapicchio[1] e ’na sciammella.[2]

Mi’ padre pijjò ppoi la carrettella,

ma pprima vorze gode[3] l’impiccato:

e mme tieneva in arto inarberato

discenno: «Va’ la forca cuant’è bbella!».

Tutt’a un tempo ar paziente Mastro Titta[4]

j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene [5]

un schiaffone a la guancia de mandritta.

«Pijja», me disse, «e aricordete bbene

che sta fine medema sce sta scritta

pe mmill’antri[6] che ssò mmejjo de tene».[7]

 

 

1 Un balocco che salta per via d’elastici.

2 Ciambella.

3 Volle godere.

4 Il carnefice è a Roma conosciuto sotto questo nome.

5 Me.

6 Altri.

7 Te.

 

Quinto Sulpicio Massimo: quasi un rapper dell’antichità…

IMG_3727-600x448Sai che a Roma… il giovane Quinto Sulpicio Massimo era un po’ come un rapper dell’antichità?

Il Sepolcro di Quinto Sulpicio Massimo, visibile tra via Piave e via di Sulpicio Massimo (nei pressi dell’antica Porta Salaria, nella zona dell’attuale piazza Fiume), fu rinvenuto nel 1871 sotto la torre orientale della Porta Salaria.
All’epoca Virginio Vespignani dirigeva i lavori di abbattimento della Porta onoriana, gravemente danneggiata dalle cannonate del 1870: I resti del sepolcro di I secolo d.C. sono oggi visibili in un piccolo giardino poco distante dal luogo di rinvenimento, ma la parte superiore del monumento è una copia (l’originale si trova ai Musei Capitolini).
Su un basamento in travertino, un’edicola marmorea reca scolpita ad altorilievo la figura del giovane Quinto Sulpicio Massimo, con in mano un rotolo. Due iscrizioni in greco e in latino ci raccontano la storia di questo ragazzino-prodigio, morto a 11 anni subito dopo aver vinto una importante competizione di poesia greca organizzata nell’ambito del terzo Certamen Quinquennale, una gara mondiale di ginnastica, sport equestri, musica e poesia che si tenne sotto Domiziano, nel 92 d.C. Il talentuoso giovane aveva sconfitto 52 poeti, conquistando il favore del pubblico nel corso della gara di improvvisazione Versus Extemporales (un po’ come un moderno rapper…).

La sua carriera come verseggiatore, purtroppo, non ebbe modo di proseguire a causa della morte improvvisa. I genitori, Quinto Euganeo e Licinia Ianuaria volle dedicargli questo sepolcro in memoria sua e della sua arte: il rotolo che il il giovane tiene in mano si riferisce proprio ai versi che lo fecero incoronare vincitore.

Il Giardino Giapponese di Roma

Il giardino dell'Istituto Giapponese di Cultura a Roma

Il giardino dell’Istituto Giapponese di Cultura a Roma

Sai che a Roma… si nasconde anche un vero giardino giapponese?

Si tratta del Giardino dell’Istituto Giapponese di Cultura, ormai aperto tutto l’anno (tranne nei mesi di luglio, agosto e nel periodo natalizio) e fruibile grazie alle visite guidate gratuite messe a disposizione dall’Istituto stesso.

E’ un piccolo ma prezioso gioiello nel cuore della città, meraviglioso nel massimo della sua fioritura, in primavera, ma che regala affascinati e suggestivi scenari anche durante gli altri periodi dell’anno.

La prenotazione è obbligatoria (al numero 06.9484.4655) e ci sono vari turni disponibili  il martedì, giovedì e venerdì, mattina e pomeriggio, e il sabato mattina.

Le prenotazioni sono possibili per il mese in corso e il successivo. Puoi controllare le disponibilità cliccando qui. Ti avvisiamo che trovare posto non è molto facile, quindi ti conviene provare all’inizio del mese!

Il giardino dell’Istituto Giapponese, il primo ad essere realizzato in Italia da un architetto giapponese, è opera di Ken Nakajima, che si è occupato anche del progetto per l’area giapponese dell’Orto Botanico di Roma.

Al suo interno sono presenti tutti gli elementi caratteristici del giardino giapponese di stile sen’en (giardino con laghetto), proprio secondo i canoni classici che ci vengono in mente quando pensiamo a un giardino giapponese: il il laghetto, la cascata, le rocce, le piccole isole, il ponticello e la lampada di pietra, tôrô. Tra le piante troviamo il ciliegio, il glicine, gli iris e i pini nani.

La veranda che affaccia sul laghetto, tsuridono, è il punto ideale per godersi la vista!

Una piccola curiosità è che le pietre che formano la cascata, in realtà, di giapponese hanno molto poco, perché arrivano direttamente dalla campagna toscana!

 

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Vicolo dell’Atleta a Trastevere – L’Apoxiòmenos

apoxiomenos trovato in vicolo dell'AtletaSai che a Roma… i nomi delle strade ci raccontano la storia della città? E’ il caso di vicolo dell’Atleta, a Trastevere.

Il Vicolo dell’Atleta prende il nome dalla statua dell’Apoxiòmenos (dal greco “colui che si raschia” con lo strigile l’olio spalmato sul corpo per il combattimento) scoperta proprio in questa strada nel 1844. E’ lui l’atleta in questione!

La statua è una copia romana in marmo di un originale bronzeo di Lisippo ed è esposta ai Musei Vaticani. Sempre presso vicolo dell’Atleta, fu ritrovato un cavallo in bronzo ritenuto un originale di età classica. Il cavallo, oggi ai Musei Capitolini, sarebbe parte di un gruppo che Alessandro Magno fece realizzare da Lisippo per un monumento equestre dedicato ai capitani caduti durante le guerre Persiane, nella battaglia del fiume Granico.

Il primo nome della strada era vicolo delle Palme per la presenza di questi alberi portati dalla Giudea e piantati davanti a una casa medievale probabilmente sede di una antica sinagoga. Il nome fu poi cambiato in vicolo dell’Atleta nel 1873 per la presenza di una strada omonima nel Rione Ponte.

Il Teatro dei Torlonia

teatro di villa torloniaSai che a Roma… il teatro di Villa Torlonia è tornato a risplendere? La prima cosa che colpisce entrando in questo teatro è l’atmosfera fiabesca, sospesa nel tempo, le sculture, le pareti affrescate, la ricchezza di ogni dettaglio. Si avverte un senso di meraviglia per avere scoperto un luogo segreto e incantato nel centro della città. Questa sensazione è poi il filo conduttore, il leit motiv che pervade tutta Villa Torlonia, a cominciare da quel posto magico che è la Casina delle Civette.

Gli splendidi affreschi della volta del teatro sono di un artista sconosciuto ai più in Italia, ma talmente famoso negli Stati Uniti da meritarsi l’appellativo di Michelangelo D’America. Questo è il soprannome dato a Costantino Brumidi, ricordato per aver affrescato la cupola del Campidoglio a Washington, dove morì a 75 anni per una caduta da un’impalcatura.

Il teatro  fu commissionato nel 1840 come regalo di nozze del principe Alessandro Torlonia per la moglie Teresa Colonna. Il progetto fu affidato all’architetto Quintiliano Raimondi che iniziò i lavori nel 1841, ma a causa della sua morte nel 1848 e di problemi familiari del principe, il teatro fu inaugurato solo nel 1874, in occasione del matrimonio della figlia di Alessandro, Annamaria, con il principe Giulio Borghese. Raimondi combina stili diversi, realizzando qualche cosa di unico nel suo genere, con il corpo centrale ispirato alla classicità del Pantheon, il palcoscenico con sfondo apribile sul parco, e con finti spettatori sulle pareti laterali. Era un  teatro privato, con poche poltrone destinate a un pubblico ristretto, e con gallerie decorate con colonne in legno a imitare il marmo, e con la volta elegantemente affrescata. Adiacenti alle gallerie c’erano salotti dove gli spettatori potevano intrattenersi durante gli intervalli o dove il principe invitava la nobiltà romana durante le sue serate mondane. Il teatro di Villa Torlonia ospitò una rappresentazione pubblica solo una volta, la prima e unica, nel 1905, voluta dal giovane Giovanni Torlonia, nipote di Alessandro . Poi la guerra, l’occupazione anglo americana (1944-1947), ne hanno decretato il definitivo abbandono. Tutto il complesso della villa  fu acquisito dal Comune di Roma nel 1978. Finalmente, dopo un lungo restauro, il teatro è entrato a far parte della Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea.

Diverse sono le iniziative previste nel corso dell’anno, e in particolare, almeno fino al 31 maggio 2014, visite guidate. Le visite sono previste alle 11.30 e alle 16.30 nei giorni di sabato, domenica e dei festivi e alle ore 11.30 nei giorni feriali dal martedì al venerdì (lunedì chiuso).

Prenotazione obbligatoria delle visite al numero 060608, costo € 5. Teatro di Villa Torlonia  – Via Spallanzani, 5

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Vicolo dell’Orso

vicolo-dellorsoSai che a Roma… il Vicolo dell’Orso (Rione Ponte) deve il suo nome all’antico “Albergo dell’Orso” il cui primo proprietario era Baccio dell’Orso? Un successivo possessore incaricò un pittore di realizzare l’insegna dell’albergo disegnando due orsi. Il pittore chiese 8 scudi per dipingere gli orsi incatenati e 6 scudi per realizzarli privi di catena. Il proprietario andò a risparmio optando per i due orsi senza la catena. Quando poi, a causa della pioggia, l’insegna sbiadì, il proprietario si rivolse al pittore per avere spiegazioni e questo rispose che gli orsi erano spariti perché lasciati senza la catena…