Il Fungo dell’Eur. La vera funzione della struttura

Il Fungo dell'Eur. Foto dal film L'eclisse

Immagine del Fungo tratta dal film L’eclisse, di Michelangelo Antonioni (1962), con la splendida Monica Vitti.

Sai che a Roma… quasi sicuramente conosci il Fungo dell’Eur? Ma sai davvero cos’è (oltre che il nome del ristorante che sorge sulla sua sommità!)?
Il cosiddetto “Fungo”, costruito in cemento armato dall’architetto Roberto Colosimo tra il 1957 e il 1959, è in realtà un grosso serbatoio idrico, con una capacità di 2.500 metri cubi di acqua (cioè 2 milioni e 500 mila litri!). La sua funzione è di rifornire la rete antincendio e quella d‘irrigazione di tutto il quartiere EUR, nonché le sue fontane monumentali.
 
Alimentato da 44 pozzi artesiani localizzati nella zona della Cecchignola, il Fungo è alto 53 metri: 8 pilastri pentagonali si congiungono a 34 metri di altezza, e da essi partono alcune mensole che costituiscono la base per il serbatoio vero e proprio, del diametro di 30 metri. Due super-ascensori portano in cima al fungo, dove un belvedere vetrato ospita un famoso ristorante progettato dall’architetto Lorenzo Monardo e dove lo sguardo spazia dalla costa di Fiumicino fino a San Pietro.
 
Al piano terra dell’edificio, inoltre, puoi trovare Piano Zero, un locale che svolge funzioni di bar e pizzeria-bistrot per serate fra amici o pranzi veloci.  
Il Fungo dell'Eur a Roma

Il Fungo dell’Eur (Ph. Blackcat)

Tra il 1978 e il 1991, a causa dei danni provocati da un attentato terroristico, l’edificio rimase inutilizzato. Dal 2008 il Fungo fa parte degli edifici di rilevante interesse architettonico, urbano e ambientale, tutelato dalla Sovrintendenza Capitolina.

Questa struttura ha fatto la sua apparizione anche in alcuni film. Per esempio lo vediamo comparire nel film “L’Eclisse” (1962), di Michelangelo Antonioni, con la grandissima Monica Vitti. Nel 1964 fa da sfondo ad alcune scene del film “L’ultimo uomo della terra”, con Vincent Price (la regia del film è di Ubaldo Ragona, ma gli americani la attribuiscono a Sidney Salkow). Nel film “Adulterio all’italiana“, con Nino Manfredi e Catherine Spaak, la scena dell’aperitivo al bar è girata proprio nel ristorante panoramico del Fungo (1966, regia di P. Festa Campanile). 

 
 
Indirizzo: via Pakistan, 1.

 

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Il cinematografico quartiere Coppedè

Quartiere Coppedè

Quartiere Coppedè. Ph. @emicuratolo

Sai che a Roma… il particolarissimo e onirico quartiere Coppedè è stato spesso scelto come set cinematografico?

Del resto, si mormora che l’architetto Gino Coppedè, per realizzare le sue originali creazioni, si sia ispirato a sua volta alla scenografie di un film, e precisamente “Cabiria”, considerato il più grande kolossal e il più famoso film italiano del cinema muto (1914 regia di Giovanni Pastrone). La sceneggiatura del film, peraltro, fu scritta nientemeno che da Gabriele D’Annunzio.

In molti sanno già che Dario Argento ambientò al Coppedè alcune scene de “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970), e che scelse piazza Mincio come sede della Biblioteca filosofica nel film “Inferno” (1980).Ma la vocazione cinematografica di questo piccolo quartiere nel quartiere era già iniziata: nel 1959 Nanni Loy diede il via alla tradizione girando qui alcune scene di “Audace colpo dei soliti ignoti”, con Vittorio Gassman. Fu subito seguito da Mario Bava nel 1962, con “La ragazza che sapeva troppo”. Nel 1974 toccò al film horror “Il profumo della signora in nero”, di Francesco Barilli, seguito nel 1975 dal film Roma Violenta, diretto da Franco Martinelli (1975).  Nel 1976 la casa della Mater Lacrimarum compare ne “Il presagio” del regista Richard Donner. La vocazione “gotica” di queste insolite architetture venne stravolta, almeno per una volta, nel 1973, grazie all’intervento del regista Nando Cicero, con il film-parodia “Ultimo tango a Zagarolo”, ormai un cult della commedia sexy all’italiana. 

In tempi più recenti, e come segnalatoci dall’amica +Sibill A , il quartiere Coppedè, con le sue architetture liberty, ha fatto la sua apparizione anche nelle serie tv “Butta la Luna” e “Valeria Medico Legale” e, a quanto ci dicono, in alcune pubblicità (se per caso sai quali, faccelo sapere!).

E tu hai notato qualche altra scena di film o telefilm girata nel quartiere Coppedè? 

La Colonna Traiana: l’avventura della sua costruzione in un video in stop-motion

Sai che a Roma… la Colonna Traiana è lì, in piedi, da più di 1.900 anni?

La Colonna Traiana fu eretta nel 113 d.C. per celebrare le imprese dell’imperatore Traiano in Dacia (odierna Romania).
Con i suoi circa 38 metri di altezza, la colonna indica anche l’entità dello sbancamento che l’imperatore fece eseguire per la costruzione del suo Foro.

Per mettere in opera una simile opera, fu necessaria tutta la perizia degli antichi costruttori romani e, a quanto sembra, anche del celebre architetto Apollodoro di Damasco. In effetti, il monumento è composto da 29 enormi blocchi di marmo, scavati internamente a formare una scala a chiocciola e intagliati all’esterno per raccontare, in un fregio lungo 200 metri, i principali episodi delle guerre daciche.

Nel basamento della Colonna Traiana si trova invece la tomba dell’imperatore, che in passato ospitò l’urna con le sue ceneri. Un’antica leggenda racconta che quando le ceneri furono esumate, la lingua di Traiano fu trovata ancora intatta e che iniziò a parlare, raccontando ai presenti di come l’anima dell’imperatore fosse stata salvata dall’inferno.

In questo bel video del National Geographic, tradotto e pubblicato sul canale youtube Nel Nome La Storia, trovi una interessante ricostruzione in stop-motion delle possibili tecniche di realizzazione dell’immensa colonna.

 

Tor Bella Monaca. E la monaca dov’è?

via di tor bella monacaSai che a Roma… in realtà il nome del quartiere di Tor Bella Monaca, con le monache non c’entra proprio nulla?

Il nome infatti deriva dalla famiglia Monaci, che nel XIII secolo fece costruire la torre all’interno della vasta tenuta che possedeva nella zona. Presto il nome della torre fu associato a quello di uno dei proprietari, Paolo Monaco, e una serie di storpiature (Turris Pauli Monaci, Paolo Monaco, Pala Monaca, Bella Monaca) portarono alla versione attuale: Tor Bella Monaca.

La leggenda che parla di una sosta di santa Rita da Cascia presso la torre durante il suo viaggio a Roma per il Giubileo del 1450, pur essendo molto suggestiva è totalmente priva di fondamento!

La mummia di Grottarossa

La mummia di Grottarossa. Foto tratta dal video di rai.arte.it

Sai che a Roma… abbiamo anche una mummia?

Non ci riferiamo alle mummie egizie conservate ai Musei Vaticani, ma parliamo della mummia di Grottarossa, una vera e propria mummia romana che fu trovata il 5 febbraio del 1964 a Grottarossa, nell’area nord di Roma, lungo la via Cassia. Oggi questo prezioso reperto è accuratamente custodito nella sede del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, in una teca che mantiene umidità e temperatura entro adeguati valori che ne permettono la conservazione.
Il ritrovamento avvenne nel corso di alcuni lavori di scavo per la realizzazione di un edificio. Venne alla luce un sarcofago, ma per timore di dover bloccare il cantiere, tutto venne portato via e buttato in discarica. Il giorno successivo però, in mezzo alla terra della discarica, un operaio vide un corpo e, temendo di trovarsi di fronte ai resti di un omicidio moderno, avvertì i Carabinieri.

Bambola della mummia di Grottarossa

Bambola della mummia di Grottarossa

A quel punto, fu possibile recuperare sia il corpo, mummificato e perfettamente conservato, che il sarcofago in marmo di Carrara che lo conteneva, insieme ad alcuni oggetti che costituivano il ricco corredo funebre della defunta: una collana d’oro e zaffiri di pregevole fattura, orecchini di filo d’oro, un anello d’oro con incisa una Vittoria alata, alcuni vasetti d’ ambra e una magnifica bambolina in osso lavorato, con arti snodati.

La mummia è quella di una bambina del II secolo d.C. (tra il 150 e il 200 d.C.), la quale, come è ben evidente dal corredo e dai vestiti di seta cinese con lamine d’oro, proveniva da una ricca famiglia e fu imbalsamata a Roma, secondo regole diverse da quelle in uso in Egitto, ma altrettanto efficaci. Il corpo e le bende di lino che lo avvolgevano furono impregnati con una resina di conifere colata a caldo, senza che venissero precedentemente asportati il cervello e gli organi interni.

La TAC e le varie analisi non invasive effettuate sulla mummia e sui denti hanno permesso di ricostruire che la bambina, al momento della morte, aveva un’età di circa 7-8 anni, e che il decesso avvenne a causa di una fibrosi pleurica bilaterale. Nonostante la giovanissima età, l’organismo della fanciulla era già provato: una diffusa osteoporosi è la conseguenza di una malnutrizione la cui origine, potendo escludere la povertà, va sicuramente vista in un’alta incidenza di malattie infettive a suo carico.

Lo studio del DNA ci permette poi di sapere che, almeno per ascendenza materna, la mummia di Grottarossa aveva origini italiche. Possiamo così immaginare che i genitori della bambina si fossero convertiti a un culto egizio, forse quello della dea Isis, che nel I e II secolo si era diffuso in tutto l’Impero Romano, e che per questo motivo scelsero di farla imbalsamare.

Sarcofago della mummia di grottarossa, con caccia al cervo di enea e didone, da via cassia loc. la giustiniana, 150-200 dc ca.

Sarcofago della mummia di grottarossa. Foto di Sailko

Qualche parola, infine, va dedicata al prezioso sarcofago che conteneva il corpo: esso è decorato con scene di caccia, alcune delle quali ispirate direttamente all’Eneide, mentre la scena illustrata sul coperchio appare particolarmente significativa e toccante: un cucciolo di leone viene catturato e sottratto ai  genitori per essere portato su una barca, chiaro riferimento al dolore della separazione che anche i genitori della mummia di Grottarossa dovettero provare al momento della prematura morte della figlioletta.

Di seguito trovi un servizio di Super Quark in cui Alberto Angela accompagna i suoi telespettatori alla scoperta della mummia di Grottarossa. Buona visione

 

Le buche delle lettere: reperti di archeologia postale

Cassetta delle lettere in via della Vite.

Cassetta delle lettere in via della Vite.

Sai che a Roma… spedire e ricevere lettere è ormai roba d’altri tempi? Oggi non scriviamo più, abbiamo perso quel gusto romantico di scrivere e imbucare una lettera o una cartolina. Ormai nelle nostre cassette postali troviamo solo bollette, pubblicità, o peggio ancora multe, ma una volta era diverso.

Molti anni fa, prima dell’invenzione del telefono, di internet, facebook  e twitter, andare alla posta a spedire una lettera era l’unico modo di comunicare e costituiva un momento importante. Si affidava all‘Ufficio Postale il compito di consegnare al destinatario i nostri messaggi, le nostre parole.

La Posta era chiamata allora Posta delle Lettere per distinguerla dalla Posta dei Cavalli, le stazioni “poste” lungo il percorso per il cambio dei cavalli e il ristoro dei viaggiatori.

Le prime buche delle lettere vennero installate sulle pareti dei palazzi comunali, nelle antiche stazioni di cambio dei cavalli, lungo le strade di grande comunicazione.

Abbiamo notizia delle prime buche di impostazione, a partire dal XVII secolo, quando furono messe lungo le vie consolari. In particolare la prima fu installata sulla Flaminia all’inizio del 1632.

Più tardi con l’incremento del traffico postale si moltiplicarono i punti di raccolta delle lettere e si realizzarono le “cassette postali”. Più facili da posizionare e da svuotare, queste nuove cassette erano collocate di solito vicino alle farmacie e ai venditori di “sale e tabacchi”. Addirittura si potevano “gettare le lettere in buca” anche sui tram.

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Cassetta postale su un tram (in foto si tratta però di un tram milanese…)

Le vecchie buche in pietra, come quella della foto, in via della Vite, furono gradualmente sostituite dalle nuove cassette postali, e chissà che a breve non spariscano anche queste! Oggi per comunicare usiamo sms, whatsApp o la posta elettronica, le nostre parole viaggiano a velocità incredibile, nell’attimo di un click.

Voi ricordate quando è stata l’ultima volta che avete “imbucato” una lettera? Noi no!