Il pizzardone

Pizzardone-domenico-cucchiariSai che a Roma… i Vigili Urbani vengono chiamati “Pizzardoni”?

Il termine “Pizzardone” con cui a Roma si indicano i Vigili Urbani, deriva dal tipico copricapo nero a due punte (volgarmente detto pizzarda da pizzo, punta) che, nell’Ottocento, era parte integrante dell’uniforme delle guardie civiche e che proprio per la sua forma veniva chiamato con lo stesso termine con cui si indicava il beccaccino, uccello acquatico dal becco lungo e acuto. La pizzarda era fatta di feltro, e al centro potevano essere applicate delle piume di cappone, in posizione e quantità variabili in base al grado.

Nell’Ottocentro era previsto inoltre che i pizzardoni portassero anche dei caratteristici stivaloni, chepizzarda-o-beccaccino furono invece ribattezzati “sorbettiere” in quanto ricordavano i recipienti stretti e profondi in cui si manipolava il gelato!

E il pizzardone, negli anni, è anche stata una proficua fonte di ispirazione: a partire dalla commedia “Er pizzardone avvelito” del drammaturgo e studioso di usi romani Giggi Zanazzo, passando per il falso pizzardone Mandrake – Gigi Proietti in Febbre da cavallo e senza dimenticare, ovviamente, il più famoso di tutti: Otello Celletti, nella magistrale interpretazione del grandissimo Alberto Sordi nel film “Il vigile”, di Luigi Zampa (1960). E ancora il regista Mauro Bolognini, nel 1956, mise insieme un cast di eccezione, con Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Gino Cervi e realizzò “Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo”, ambientato in realtà proprio nel Corpo dei Vigili Urbani.

La fine del papa mago

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Silvestro II e il diavolo -Cod. Pal. germ. 137 Folio 216v

Sai che a Roma… c’è stato anche un papa mago?

Gerberto di Aurillac fu papa allo scadere del primo millennio (999-1003). Era un periodo particolare, in cui la vita, già difficile per la maggior parte delle persone, era ulteriormente segnata dal diffuso timore che la fine del millennio portasse con sé anche la fine del mondo intero. Gerberto era un uomo di enorme erudizione, così colto da intimorire la popolazione, per lo più ignorante e superstiziosa, e quando divenne papa col nome di Silvestro II, circolò subito la voce che fosse arrivato al soglio pontificio grazie a un patto con il diavolo, e che tanta conoscenza non potesse essere di questo mondo. Silvestro II è passato alla storia come il “papa mago” e alla sua figura sono legate varie leggende e misteri degni di un thriller.

Nato in Alvernia poco prima della metà del X secolo, studiò in Francia e in Spagna, dove, pur con la mediazione del cristianesimo, entrò in contatto con numerosi insegnamenti islamici, appassionandosi all’alchimia e alla magia, all’astronomia e all’aritmetica,  tanto che si volle vedere in lui la reincarnazione di quell’arabo Djabir (in occidente, guarda caso, Geber) che fu Maestro del Sufismo (una corrente dell’islamismo volta alla ricerca della purezza e della mistica pura). Accostandosi sempre più a uno di quei saggi musulmani che era solito frequentare, sembra che Gerberto abbia avuto un primo contatto col Maligno. Il cronista medievale Guglielmo di Malmesbury racconta che il futuro papa desiderava ardentemente un libro che il saggio musulmano custodiva gelosamente sotto il cuscino. Sfruttando anche la complicità della figlia dell’uomo, Gerberto si impossessò del libro, ma ne scaturì un lunghissimo inseguimento, fin quando Gerberto, per salvarsi, non si vide costretto a evocare il diavolo, accordandogli perpetua sudditanza se lo avesse aiutato ad attraversare il mare per giungere in un luogo sicuro. E Gerberto si salvò. E fece anche una carriera strabiliante, continuando però sempre a destare scalpore e diffidenza a causa di tutte le sue conoscenze. Secondo altri invece Gerberto strinse un patto con un diavolo donna di nome Meridiana, che lo avrebbe aiutato a raggiungere  il trono papale, o, ancora, che gli sarebbe apparsa successivamente, quando aveva già vinto il papato in una partita di dadi con il diavolo.

Un altro cronista, Raoul de Longschamp, racconta che Gerberto riuscì perfino a sottomettere un demonio e a racchiuderlo all’interno di una testa d’oro (o bronzea), un Golem diabolico che rispondeva alle sue domande con un cenno del capo. In realtà il futuro papa spiegava il funzionamento di questo automa-Golem attribuendolo al calcolo con due cifre. Possibile che avesse scoperto già all’epoca il codice binario e che fosse in grado di applicarlo alla costruzione di una macchina analitica? Questo sì che sarebbe diabolico…!

La carriera di Gerberto, tra alti e bassi, proseguì, finché non giunse l’elezione a papa. Altre leggende continuarono a fiorire attorno a quell’uomo che era ormai divenuto ufficialmente papa Silvestro II, e che non aveva comunque mai smesso di interrogare il suo Golem. E un giorno, il papa decise di domandare “Morirò prima di aver cantato messa a Gerusalemme?”. La risposta fu chiara: no. Silvestro, soddisfatto, pensò quindi che gli sarebbe bastato evitare di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme per poter vivere all’infinito. Quello che il papa mago non aveva calcolato, però, era la presenza, sotto la Basilica di Santa Croce, della terra che sant’Elena aveva portato direttamente dalla Terra Santa insieme ad altre preziose reliquie. Il 12 maggio del 1003, dopo aver detto messa nella chiesa, il papa fu colto da un malore. Un attimo di stupore: aveva sempre avuto una salute di ferro, e aveva un “patto col diavolo” a fargli da garanzia… Poi, all’improvviso, capì. Silvestro, spaventato, si guardò intorno con un terrore che rasentava la paranoia, ma che lui, a quel punto, sapeva essere fondato. Anche in questo caso esistono diverse narrazioni. La prima racconta che un gruppo di uomini, laici, si avvicinò, minaccioso, senza che nessuno riuscisse a fermarli. Gli uomini, fedeli al governo del patrizio Giovanni Crescenzio (ostile al papa e all’imperatore Ottone III che lo aveva appoggiato) iniziarono a pugnalare il papa con fendenti mortali: quella sorta di stregone e negromante, non doveva vivere! I preti e i cardinali, impauriti, ordinarono al vicedominus di aspettare la sera e seppellire quindi di nascosto e in tutta fretta, fuori le mura, i resti di quello che era stato il loro papa. Il cadavere venne caricato su un carro di buoi, ma davanti alla basilica di San Giovanni gli animali si impuntarono e non ci fu verso di farli ripartire. Il vicedominus e il servo che lo accompagnava decisero allora di nascondere i pezzi insanguinati del cadavere in un sarcofago posto in un angolo buio dell’atrio della chiesa. Fu nuovamente lo zampino del diavolo, che riuscì a fargli comunque avere, in un modo o nell’altro, una degna sepoltura?

La seconda versione (forse più compatibile con un avvelenamento, di cui il papa potrebbe essere stato vittima) dice che il papa, dopo il malore, confessò le sue colpe e morì, lasciando istruzioni ai suoi cardinali di tagliarlo a pezzi e spargere il suo corpo in giro, senza sepoltura, nel tentativo di espiare le proprie colpe.

Una ulteriore variante vuole che il diavolo, al termine della messa, sia andato ad attaccarlo direttamente, cavandogli gli occhi e dandoli quindi in dono ai demoni perché vi giocassero all’interno della chiesa. A quel punto Silvestro, sempre cercando di espiare i suoi peccati, si sarebbe tagliato una mano e la lingua.

La storia del papa mago però non è ancora finita. Sembra infatti che anche la sua sepoltura abbia avuto dei particolari poteri diabolici: se un papa stava per morire dalla tomba fuoriusciva dell’acqua, mentre l’affiorare di un po’ di umidità indicava l’imminente morte di un cardinale.Nel 1684 comunque, il sepolcro fu aperto, e il corpo del papa fu trovato non solo intero, anziché a pezzi come vi era stato deposto, ma addirittura intatto e adornato di tutti i paramenti pontificali, compresa la tiara! Solo per un attimo, però, perché il contatto con l’aria sembra che abbia polverizzato tutto, lasciando solo la scia degli unguenti da imbalsamazione e l’anello con la scritta Sic transit gloria mundi.

 

Chiuso Frascati! Un modo di dire quasi scomparso

Ferrovia Roma - Frascati - CampitelliChiuso Frascati!

Sai che a Roma… questo modo di dire, che significa che una questione è chiusa, che non c’è altra via di uscita e che non ci sono più possibilità, è nato nel 1856? Questo è infatti l’anno in cui è stata inaugurata la ferrovia Roma-Frascati, prima linea ferrata dello Stato Pontificio: qualche giorno dopo l’inaugurazione, passata una prima fase di diffidenza, i curiosi erano talmente tanti che tutti i posti disponibili sui treni andavano regolarmente esauriti, così che il bigliettaio era costretto a chiudere lo sportello gridando “Frascati, chiuso!” e indicando così a quanti ancora restavano sulla banchina, che fino al treno successivo non c’era nulla da fare!

Per essere precisi, nel 1856 la ferrovia si fermava a qualche chilometro prima della nota località dei Castelli, ed esattamente in località Campitelli. La partenza da Roma avveniva invece da Porta Maggiore, area esterna alle mura e che all’epoca era considerata quasi aperta campagna. Tutto ciò ispirò la sagace romanità, secondo la quale quello era il  “treno lumaca, che non parte da Roma e non arriva a Frascati“! Bisognerà attendere il 1884 per vedere la ferrovia effettivamente prolungata fino a Frascati, con la realizzazione della nuova stazione proprio al posto di quella attuale.

 

Un asino non può spostare un cavallo! La fontana dei Dioscuri

fontana_Dioscuri_PzaQuirinale-300x225Sai che a Roma… “un asino non può spostare un cavallo”?
La Fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale ha una lunga storia ed è legata anche a un famoso aneddoto e a qualche divertente pasquinata.
Alla fine del XVI secolo, sotto il pontificato di Sisto V (Felice Peretti), fu terminata la ristrutturazione dell’acquedotto alessandrino, chiamato da allora in poi Acqua Felice. Una nuova ramificazione doveva servire le zone del Viminale e del Quirinale e proprio sulla piazza del Quirinale fu deciso di realizzare una fontana di fronte alla residenza estiva del papa. I lavori furono affidati all’architetto Domenico Fontana (un nome, un destino…!) che decise di riutilizzare un antico gruppo scultoreo proveniente dalle vicine Terme di Costantino e che già si trovava nella piazza: si trattava dei Dioscuri, i due mitici gemelli figli di Zeus e Leda, che tengono a freno i loro cavalli. E’ interessante notare che il gruppo dei Dioscuri, copie romane di originali greci, furono in un primo momento ritenuti erroneamente opere originali di Fidia e Prassitele, e questo errore è ancora immortalato nell’iscrizione del basamento! Il Fontana, dopo averli restaurati, li spostò al centro della piazza, rivolti verso il palazzo del Quirinale, realizzando ai loro piedi la fontana commissionatagli. Nel 1782 papa Pio VI (Giovanni Angelo Braschi) decise di adottare una nuova sistemazione dell’area, predisponendo anche un nuovo assetto per i Dioscuri: divisi in due gruppi, furono sistemati in modo tale da formare, tra loro, un angolo retto. Sembra però che l’architetto Antinori, a cui i lavori furono affidati, abbia avuto diverse difficoltà nel compiere questa operazione. Alludendo quindi alla sua imperizia, i Romani commentarono impietosamente che “un asino non può spostare un cavallo”! Anche due pasquinate intervennero prontamente a sottolineare l’episodio: la prima rivolta contro l’architetto e costituita dal semplice ma pungente anagramma del suo cognome :”Antinori, non tirai“; la seconda diretta invece al papa, in riferimento all’erronea scritta “Opus Fidiae” presente sul basamento e che subito fu modificata in “Opus perFidiae Pii Sexti“!

Alla fine comunque, nel 1786, il progetto fu eseguito e uno degli obelischi (m 14,639) che ornavano il Mausoleo di Augusto fu sistemato tra i due gruppi scultorei. Un’iscrizione posta sul lato posteriore della fontana ricorda ancora oggi l’impresa: l’obelisco, parlando in prima persona, racconta la sua esistenza per poi dichiarare:

INTER ALEXANDRI MEDIUS QUI MAXIMA SIGNA

TESTABOR QUANTO SIT MINOR ILLE PIO

cioè, Tra le colossali statue di Alessandro, testimonierò quanto questi (Alessandro) sia minore di Pio. Quando però Roma fu occupata dai francesi nel 1798, all’iscrizione qualcuno appose una caricatura con un cittadino che indicava a due francesi proprio quella parte della scritta, nella quale Alessandro poteva simbolicamente indicare Napoleone. I giacobini allora si preoccuparono subito di modificare la scritta in un più “neutrale” TESATABOR SEXTI GRANDI FACTA PII (testimonierò le grandi glorie di Pio Sesto). Se guardi bene però, puoi ancora notare, sotto la S di Sextii, la codina discendente della precedente Q di Quanto…!

In realtà quando l’obelisco fu sistemato,  si decise anche di sostituire la fontana con una vasca di epoca romana proveniente dal Campo Vaccino, ma in realtà i lavori per la sua sistemazione, anche a causa dell’occupazione di Roma da parte delle truppe napoleoniche, si protrassero fino al 1818, sotto l’attenta guida dell’architetto Stern.

La Girandola di Castel Sant’Angelo – 29 giugno

Girandola di Castel Sant'AngeloSai che a Roma… per la festa patronale dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, a partire dal 2008 è stata riportata in vita la tradizione della Girandola di Castel Sant’Angelo?
Straordinari fuochi d’artificio partono da Castel Sant’Angelo e si specchiano sul fiume, regalando ai Romani e ai fortunati turisti che possono assistervi uno spettacolo davvero indimenticabile.
Attenzione: dal 2016, a dispetto della tradizione, la Girandola viene organizzata in piazza del Popolo, con i fuochi che partono dalla terrazza del Pincio. Solo a Roma la Girandola di Castel Sant’Angelo si fa a piazza del Popolo!

L’origine di questa tradizione risale al XV secolo e più precisamente al 1481, quando fu introdotta per celebrare e dare fasto al pontificato di Sisto IV, che volle poi iniziare a usare la Girandola di Castel Sant’Angelo per festeggiare gli eventi solenni che si svolgevano a Roma. Ad occuparsi della manifestazione, troviamo nomi importanti, che ci danno subito l’idea della dimensione e della spettacolarità che l’evento ricopriva: furono infatti artisti come Michelangelo, Bernini e Vespignani a ideare ed elaborare, perfezionandola, questa pioggia di fuoco che strabiliò e che continua a strabiliare chiunque vi assista. E non a caso la Girandola, già all’epoca, richiamava spettatori provenienti da tutta l’Europa. Ne parla Charles Dickens, mentre Piranesi la raffigura nelle sue stampe e Giuseppe Gioachino Belli le dedica addirittura un sonetto (lo riportiamo qui sotto).

La Girandola continuò a estasiare il pubblico fino al 1886 (1861 o 1870 secondo altre versioni, ma questa sembra la più attendibile), quando lo spettacolo dovette essere sospeso a causa dei danni e delle lesioni che le ripetute esplosioni provocavano alle decorazioni (stucchi e pitture) delle sale sottostanti la Terrazza dell’Angelo. E’ divertente scoprire che la passione per lo spettacolo era tale da sacrificare anche i documenti curiali conservati nell’Archivio Pontificio: parte di essi furono infatti sacrificati senza indugio per realizzare i cartocci di polvere pirica!

Dal 2008 questo tripudio di luci e colori è stato riportato in vita seguendo una accurata ricostruzione filologica, effettuata dal cav. Giuseppe Passeri del Gruppo IX Invicta: le stesse miscele dei fuochi, che si iniziano a preparare già da marzo, sono realizzate secondo le prescrizioni e le formule dei maestri del Rinascimento. La tradizione però si accompagna alla più moderna tecnologia, con sofisticate centraline radio che permettono il controllo dell’accensione dei fuochi in completa sicurezza. Così lo stesso Passeri parla dello spettacolo della Girandola di Castel Sant’Angelo: “La Girandola da sempre è palcoscenico in cui i più grandi geni di architettura, scenografia e ingegneria si esibiscono anno dopo anno. Attività pirotecnica a Roma è armonia, mescolare effetti. Non si tratta del solito fuoco di paese, il quadro pirotecnico cambia ogni minuto, praticamente uno spettacolo mai visto. Ho fatto di tutto per rendere possibile la rievocazione di questo spettacolo, c’è grande sensibilità verso questo evento proprio perché si differenzia da tutte le altre manifestazioni ed è unica nel suo genere”.

La Girandola del 2017 a piazza del Popolo. Post di Alessandro Calabresi

Una prima rievocazione “pilota” fu in realtà eseguita, sempre dal Passeri, già nel 2006, quando la Girandola fu organizzata sul Colle Vaticano per celebrare i 500 anni dall’istituzione della Guardia Svizzera Pontificia. Esperimento riuscito! 

Nel 2016 e nel 2017 però, per qualche strano motivo, si è deciso di allestire la tradizionale Girandola invece che a Castel Sant’Angelo, sulla terrazza del Pincio, con il pubblico radunato in piazza del Popolo. Sicuramente suggestivo, ma… niente più a che vedere con la tradizione!

Altra tradizione legata alla festività dei SS. Pietro e Paolo e che dal 2011 è stata recuperata è quella dell‘Infiorata.

 

La birra dei Romani antichi

birra4-300x225Sai che a Roma… già i Romani antichi conoscevano la birra? In realtà la birra era conosciuta già molto prima dei Romani… ed è nata per caso!

L’orzo, di cui la birra è composta, è stato il primo cereale coltivato dall’uomo. Dalla coltivazione all’idea di creare delle riserve, il passo fu breve, ma  vermi e roditori, che cercavano a loro volta di sfruttare queste scorte, resero necessarie alcune sperimentazioni! Tra le prove di conservazione messe in atto, si giunse quindi al tentativo di mettere i grani d’orzo nell’acqua. La natura fece il suo corso, e i lieviti il loro lavoro: l’intruglio così creato iniziò a fermentare, e gli effetti benefici ed “euforizzanti” di questa specie di birra primordiale furono subito apprezzati dall’uomo, ed anzi attribuiti a un superiore intervento divino.

Le prime attestazioni certe riguardanti la birra (che però doveva essere nata molto prima, probabilmente intorno al VII millennio a.C.)  risalgono ai Sumeri, addirittura nel 3.700 a.C. (anno più, anno meno…!),  in un documento (una tavoletta d’argilla conosciuta come “monumento blu”) che menziona la birra tra i doni offerti alla dea Nin-Harra. Sappiamo inoltre che i Sumeri consumavano birre di diversi tipi, e che avevano già una legislazione in materia di birre: il Codice di Hammourabi (1728-1686 A.C.) prevedeva addirittura la condanna a morte (per annegamento) per chi non avesse rispettato le leggi sulla  fabbricazione e per chi avesse aperto un locale di vendita senza autorizzazione.

I Babilonesi proseguirono e affinarono la tradizione birraia  dei Sumeri, arrivando a produrre ben 20 varietà di birra.

Anche gli Egizi erano grandi estimatori e consumatori di birra, tanto che nella loro cultura riconoscevano a Osiride, protettore dei morti, il merito dell’invenzione della bevanda, chiamata zythum. Della birra esaltavano le proprietà curative , e l’arte di produrre birra era insegnata nelle scuole superiori ancor prima della lettura e della scrittura.

I Greci di certo, pur non producendola, non ignorarono la birra, che chiamavano, mutuando il nome direttamente dagli Egizi, zythos. Essa veniva consumata in special modo nel corso delle cerimonie tutte al femminile in onore di Demetra, gran Madre della Terra, nonché in concomitanza con i giochi olimpici, durante i quali il consumo di vino era proibito.

E veniamo ai Romani. Nell’antica Roma la birra era una bevanda conosciuta e consumata, ma in realtà fu sempre il vino a farla da padrone: la birra era infatti considerata una bevanda pagana e plebea, tanto che lo storico Tacito, nell’87 d.C., paragona la birra consumata dalle popolazioni germaniche al vinus corruptus, cioè andato a male! Non tutti erano dello stesso parere, però, in quanto sappiamo che alcune ville erano dotate di piccole birrerie private! Lo stesso Augusto apprezzò la birra, se non come bevanda almeno come medicinale, in quanto proprio grazie ad essa il suo medico Musia lo curò dal mal di fegato. E ancora sappiamo che Nerone fece un ampio uso di birra, che riceveva  in dono da Silvio Ottone,  marito della celebre Poppea, che l’Imperatore aveva sapientemente spedito in Portogallo per potergli rubargli la moglie indisturbato!  Era ovviamente birra della penisola iberica, la cerevisia, e Nerone fece addirittura giungere a Roma uno schiavo lusitano, abile mastro birraio, che gli preparasse la graditissima bevanda. E del resto il termine “birra” deriva proprio dal verbo latino bibere (bere), mentre cerveca, la parola con cui si indica la birra in Spagna, deriva la sua matrice dalla dea latina Cerere (Ceres in latino, e non è un caso che sia anche il nome di una nota birra…!), che altri non è (ulteriore “coincidenza” non casuale!) se non il corrispettivo latino della dea greca Demetra. Inoltre Plinio, nel XXXVII libro della Naturalis Historia ci informa su un particolare impiego della birra nella cosmesi femminile per la pulizia del viso e come nutrimento per la pelle. Nonostante l’altalenante successo di cui godette nella nostra penisola e a Roma, nelle aree periferiche dell’Impero la birra continuò ad essere prodotta, e, ovviamente, le popolazioni germaniche e dei territori non adatti alla coltivazione della vite, introdussero importanti novità nella pratica brassicola.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, in Italia “caddero” anche la produzione e il consumo di birra, che nel periodo medievale rimase confinata quasi esclusivamente all’ambito monastico, finché, nel 1527, essa non fu reintrodotta nel corso del famigerato sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi. Il suo consumo continuò comunque a trovare ampie resistenze fino alla metà del XIX secolo. A quest’epoca risalgono infatti le prime fabbriche artigianali, tra cui quella, famosissima, di Giovanni Peroni.