Ostia Antica: nuove scoperte archeologiche nel parco dei Ravennati

Pavimento in opus sectile nel parco dei Ravennati di Ostia Antica Foto da La Repubblica

Pavimento in opus sectile nel parco dei Ravennati di Ostia Antica
Foto da La Repubblica

Sai che a Roma… nuovi regali sono emersi dal sottosuolo di Ostia Antica? Gli scavi condotti dai numerosi studenti di 14 università americane e canadesi e dalla Soprintendenza Speciale Archeologica di Roma-Ostia nell’area  del parco dei Ravennati, non lontano dal castello di Giulio II, hanno riportato alla luce un mausoleo databile tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C. e una domus tardoantica (IV secolod.C.).

I risultati dello scavo, che in realtà è iniziato tra settembre e dicembre del 2012 e che è stato ripreso tra giugno e luglio scorsi, sono stati presentati il 19 luglio dalla responsabile della Soprintendenza Speciale archeologica di Roma per Ostia Antica, dott.ssa Paola Germoni, insieme all’archeologo dott. Darius Arya, direttore dell’American Institute for Roman Culture che ha coordinato il lavoro degli studenti. Le indagini sono state condotte in due punti del parco, dando subito eccezionali risultati. La prima struttura è relativa a un mausoleo a pianta circolare esterna del diametro di oltre 5 metri e rivestito in blocchi di travertino; la sua realizzazione risale alla fine del periodo repubblicano o alla prima età imperiale, ma presenta fasi di riutilizzo che arrivano fino al V secolo d.C. La ripartizione interna invece restituisce un ambiente di forma ottagonale.  Al suo interno è stata scoperta una sepoltura con due corpi, un adulto e un bambino, mentre a sud del monumento erano presenti altre sepolture infantili che sembrano risalire al IV-V secolo d.C. Negli strati già sconvolti, gli archeologi hanno trovato anche alcuni frammenti di ornamenti in osso lavorato che fanno ipotizzare che nel mausoleo esistessero delle lettighe funerarie (spesso decorate con applicazioni in osso), purtroppo depredate in un’epoca imprecisata.  Il mausoleo, secondo la consuetudine antica, sorge a lato di una strada basolata, probabile prosecuzione della via dei Sepolcri prospiciente gli scavi di Ostia Antica.

Mausoleo nel parco dei Ravennati di Ostia Antica Foto da roma.corriere.it

Mausoleo nel parco dei Ravennati di Ostia Antica
Foto da roma.corriere.it

Poco lontano, sotto un cumulo di immondizia e poche decine di centimetri sotto il piano attuale, un’altra sorpresa: una muratura tardoantica delimita i resti di una sorprendente pavimentazione in marmi policromi (opus sectile) disposti a creare una decozione geometrica di cerchi e rettangoli. Al momento questi resti sono stati interpretati come parte di una ricca domus privata.

Le indagini, che contribuiranno a ricostruire la storia di quest’area poco conosciuta del suburbium di Ostia, proseguiranno nel 2014.

Caffè Rosati a piazza del Popolo

rosati-2-150x150Sai che a Roma… tra i caffè storici c’è anche il caffè Rosati in piazza del Popolo?

Benché non sia esattamente tra i caffè più antichi della della capitale, il caffè Rosati in piazza del Popolo ha comunque acquisito lo status di “storico” sia per l’importanza che ha assunto nell’ambiente culturale romano del Novecento, sia per una ormai effettiva sopravvenuta anzianità che è, in ogni caso, di tutto rispetto: l’apertura di Rosati risale infatti al 1922!

Negli ultimi tempi, purtroppo, il caffè Rosati ha spesso raggiunto gli onori della cronaca a causa dei suoi prezzi che, pur considerando la posizione più che privilegiata , risultano davvero eccessivi, lasciando ai clienti l’amara sensazione di essere finiti nell’ennesima trappola per turisti. L’ultimo episodio risale a pochi giorni fa, con 17,55 euro pagati per due caffè e una micro-bottiglietta d’acqua.

Di sicuro sono lontani i tempi in cui  lo sceneggiatore Ugo Pirro, come lui stesso raccontò, poteva sedersi ai tavolini, incontrare Pasolini ed Elsa Morante, e non ordinare neanche un bicchiere d’acqua!

Nonostante la deprecabile caduta di stile del locale, ci sembra comunque il caso di ripercorrere la storia di questo luogo cosmopolita e stimolante, che ha accolto i protagonisti della cultura italiana letteraria ed artistica di gran parte del XX secolo, assistendo alla nascita di dibattiti, idee, soggetti e intere sceneggiature e che ha dato ospitalità alle menti più feconde che si trovavano a Roma.

All’inizio del Novecento, al posto del caffè Rosati, c’era una semplice ma apprezzata latteria, che aveva già inaugurato una tradizione legata alla freschezza e genuinità dei suoi prodotti. Nel 1922 due fratelli acquistarono la latteria, trasformandola. Essi non erano né inesperti, né sprovveduti, in quanto facevano parte di quella famiglia Rosati che aveva già aperto, nel 1911, un caffè (anch’esso caffè Rosati) piuttosto frequentato in via Veneto; ben presto quindi, il loro divenne uno dei caffè più famosi di Roma. Già dagli anni Trenta iniziò ad annoverare, tra i propri affezionati, i pittori della vicina via Margutta e, in qualche occasione, sembra che anche il grande Trilussa abbia sostato tra questi tavoli. Se fino alla metà degli anni Quaranta i luoghi preferiti dagli intellettuali romani erano il caffè Aragno e il caffè Greco, Rosati iniziò ben presto ad affermarsi come una valida alternativa, raggiungendo nel secondo dopoguerra l’apice della popolarità. Uno dei primi letterati che scelsero Rosati come luogo preferito per le proprie riunioni colte fu il poeta Vincenzo Cardarelli. Negli anni Cinquanta  e Sessanta era frequente incontrare Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia con la moglie Elsa Morante, tanti cineasti  e  artisti come Giosetta Fioroni, Angeli, Festa e Schifano. Ancora,

Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini al caffè Rosati di piazza del Popolo Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini al caffè Rosati di piazza del Popolo

Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini al caffè Rosati di piazza del Popolo

nel tempo, citiamo i nomi di Talarico, Mazzacurati, Flaiano, Franco Monicelli, Trombadori, De Chirico, Guttuso, Bartoli, Maccari, Libonati, il gruppo del Mondo, e spesso anche Rossellini. Non era raro trovarci Fellini, che veniva a incontrare Flaiano, Simone de Beauvoir che parlava fitto fitto con Sartre, Carlo Levi, Vittorini, Cascella, Marina Lante della Rovere, Luccichenti, Vittorio Caprioli, Mazzarella, Franca Valeri, Gassman, Bernardo Bertolucci… Questa speciale commistione tra arte, letteratura, cinema ha fatto di questo luogo un polo culturale di primissima categoria. Almeno fino agli anni Settanta, quando iniziò una sorta di decadenza, non solo dei caffè, ma, per certi versi, anche della cultura in generale (e forse non ne è estraneo lo strapotere che sempre più inizierà ad assumere la televisione…). Il pittore Bruno Caruso racconta che Flaiano e Mezzocamino, guardando dalla piazza la nuova clientela di Rosati, composta ormai da giovani capelloni che avevano come massima aspirazione quella di partecipare come controfigura a qualche film western italiano, abbiano commentato, sprezzanti: “Credono di essere noi!”

Da Rosati si andava per l’aperitivo, mentre le signore della buona borghesia si fermavano spesso per un tè pomeridiano o, la domenica mattina, dopo la messa, per comprare le paste (le pastarelle, a Roma!). L’estate, poi, le chiacchierate dopo cena, al fresco del ponentino, magari con un gelato o sorseggiando una bibita, erano quasi un obbligo. All’una e mezza o alle due Rosati chiudeva, ma erano altri tempi, e i tavoli potevano essere lasciati fuori, così discorsi, progetti e discussioni potevano proseguire, tra i più nottambuli, fino alle tre o alle quattro di mattina.

L’interno del locale era, ed è, elegantemente arredato, con ricche boiserie e mobili pregiati. Anche i lavori di ristrutturazione hanno rispettato l’antico allestimento, lasciando ogni cosa esattamente al suo posto, tanto che i mobili sono stati fatti restaurare a Firenze, dove erano stati fabbricati! Il Trombadori non mancò di sottolineare l’evento della riapertura con i seguenti versi:

S’ariapre Rosati, allegramente!

M’ero messo pavura che chiudeva

domani invece ce sarà più gente

de quanta prima già se lo godeva.

In tempi de talento scarseggiante

un Caffè con la Storia su le mano

è un richiamo

‘no specchio stimolante

Un’ultima curiosità, è ancora legata all’eclettico Flaiano e alla sua pungente ironia. Egli infatti diceva che davanti a Rosati c’era sempre una buca con la scritta “Lavori in corso” e che per capire di quali lavori si trattasse, sarebbe stato necessario svelare i segreti politici della città!

Insomma, a restare sempre uguali non sono solo i mobili di Rosati…

 

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Scoperto tempio di età regia a via Petroselli

20130721-170835Sai che a Roma… sembra incredibile?
Eppure continua a succedere: in pieno centro, a via Petroselli, dei nuovi, importanti resti archeologici sono venuti alla luce. E non si tratta dell’ennesimo muro di cui, con l’eccezione degli addetti ai lavori, ci si dimenticherà nel giro di qualche settimana: questa volta, all’interno dell’area sacra di Sant’Omobono, tra i resti del tempio della Fortuna e di quello di Mater Matuta, è emerso addirittura il basamento di un tempio risalente al VI secolo a.C., quando Roma era ancora governata dai re (sì, i famosissimi Sette Re di Roma di cui tutti dimenticano almeno un nome….!).

A scavare sono le Università della Calabria e del Michigan, con il coordinamento della Sovrintendenza Comunale. Quello che gli archeologi stanno mettendo in evidenza è il basamento del tempio di Servio Tullio, ed è, insieme al tempio di Giove Capitolino, il tempio in pietra più antico di Roma. Il muro rimesso in luce è in stile etrusco-italico, costituito da blocchi di tufo squadrati e messi in opera in modo accurato.
Oltre ad alcune decorazioni pertinenti al tempio, è stato possibile recuperare anche numerosi reperti riferibili agli ex voto dei fedeli.

Il tempio, anche grazie alla sua posizione dominante il porto fluviale del Foro Boario, era all’epoca un importante luogo di raccolta per i mercanti e i viaggiatori che giungevano in città, e ciò è testimoniato anche dai numerosi frammenti di ceramiche di importazione greca rinvenuti nell’area.
Queste le parole dell’assessore capitolino alla Cultura Flavia Barca in occasiona della presentazione della scoperta alla stampa: “Si tratta di un ritrovamenti bellissimo, che mostra il patrimonio eccezionale della città, ma anche il valore del lavoro prezioso degli archeologi che spesso, purtroppo, non viene valorizzato. Invece sono un pezzo importantissimo dell’opera di conservazione e valorizzazione della Roma antica”.
E noi di “sai che a Roma…” facciamo i nostri complimenti ai membri di tutta l’equipe di scavo, che nei 4 anni in cui si sono condotte le varie campagne archeologiche, hanno lavorato con impegno e professionalità in condizioni di grande difficoltà e disagio, soprattutto a causa della presenza di una falda d’acqua che li ha costretti a scavare nel fango, complicando il già complesso lavoro di lettura stratigrafica dell’area.

Beh, comunque, tanto per completezza d’informazione e prima che tu ti innervosisca perché non riesci a ricordarli tutti, i Sette Re di Roma furono, dal 753 a.C. al 510 a.C., Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo.

 

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Antico Caffè della Pace

antico-caffe-della-paceSai che a Roma… puoi potevi (il bar è stato purtroppo chiuso nel 2016) prendere un caffè e fare una pausa rilassante all’Antico Caffè della Pace? E’ uno dei caffè storici di Roma, ed esiste dal 1891, nonostante alcune testimonianze, come, ad esempio, alcune incisioni di G.B. Piranesi, documentino la sua esistenza già dal secolo precedente. Si trova alle spalle di piazza Navona, in via della Pace 3/7, accanto alla chiesa di Santa Maria della Pace, con la sua facciata progettata da Pietro da Cortona, e il celebre chiostro del Bramante.

L’Antico Caffè della Pace, noto anche, più semplicemente, come Bar della Pace, cattura subito ogni sguardo grazie al suo magnifico porticato rivestito di edera, dall’effetto quasi magnetico nei confronti dei turisti stanchi, ma anche dei Romani e di chiunque sappia godersi la vita riuscendo a ritagliarsi i giusti tempi per vivere le bellezze di una città come Roma.

E così dovette essere fin dal XIX secolo, quando il caffè fu eletto come punto di incontro di molti artisti e intellettuali, politici e personaggi dello spettacolo: a partire dallo scultore Caffe_Della_Pace-150x150Thorwaldsen (e anche questa tradizione conferma l’esistenza del caffè già prima del 1891, visto che lo scultore morì nel 1844!) e altri artisti danesi, fino ai pittori della Scuola Romana come Scipione, Mafai, Guidi, Trombadori, Francalancia. Insieme a loro, anche poeti come Ungaretti e Caproni e varie personalità della cultura del Novecento, tra cui i registi Monicelli e Bolognini o ancora, come racconta il paparazzo Barillari, i pittori Schifano, Testa, Angeli e Fioroni. In questo Caffè nacque anche la Transavanguardia: siamo agli inizi degli degli anni ’80 e di sicuro il merito va anche, in parte, al locale che agevolò i fecondi incontri tra il critico Bonito Oliva e i pittori Cucchi, Clemente e Paladino. In tempi più recenti, anche alcuni personaggi dello spettacolo non hanno potuto resistere al fascino dell’Antico Caffè della Pace: Madonna e Spike Lee, per esempio, hanno approfittato delle magnifiche suggestioni di questo locale carico di storia.

La famiglia Serafini, proprietaria del caffè (ma non delle mura…) da circa 40 anni, ha contribuito a mantenere intatta l’atmosfera dell’epoca, conservando intatto il fascino del particolare arredamento (un misto di stile liberty, barocco e Impero), capace ancora oggi di evocare i frequentatori di un tempo e di rendere più sensibili e ispirati anche gli avventori di oggi (tranne rari e irrimediabili casi…!).

L’ambiente interno, dotato di 3 incantevoli salette, è arredato, oltre che dal bancone, con tavolini, divani e sedie, statue caffè-della-pace-registratore-di-cassa-2-150x150e colonne, ma quello che più richiama l’attenzione è la ricca suppellettile d’epoca, che finisce per moltiplicarsi nel gioco di luci e di rimandi creato dalle antiche specchiere (un’attenzione particolare va rivolta al vecchio, straordinario registratore di cassa).

Purtroppo il 10 giugno del 2013 la famiglia Serafini ha ricevuto lo sfratto dal proprietario dello stabile, il Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima. Il contratto di locazione è infatti scaduto dal 2009, e l’ente non ha voluto rinnovarlo: sembra che l’edificio sia destinato a diventare un albergo. Al momento, molti cittadini, diverse associazioni e alcuni esponenti politici si stanno attivando per evitare che un’altra importante Bottega Storica, come è il Caffè della Pace, debba cessare l’attività, perdendo con essa un pezzo di Storia della Capitale.

Leggi anche: Caffè della Pace, tutti in piazza contro lo sfratto (link esterno)

Aggiornamento: Sentenza definitiva. Il 27 febbraio 2014, nonostante appelli, raccolte di firme e manifestazioni di solidarietà, il Bar della Pace ha ricevuto lo sfratto definito. La giustizia, del resto, si occupa di far applicare le leggi… con buona pace di Storia, cultura, tradizioni e turismo! Se al suo posto sia davvero previsto un albergo, non si sa: l’istituto religioso ha scelto la strada del silenzio, nel tentativo di rispondere all’inevitabile clamore che sta seguendo la notizia dello sfratto.  Uno sfratto legale, e una vicenda nella quale sembra non sia possibile raggiungere una soluzione di compromesso, che possa evitare la chiusura dello storico locale. La stessa proposta presentata dalla senatrice Daniela Valentini, con la quale si vorrebbero equiparare le le botteghe storiche ai beni monumentali, non potrà certamente essere approvata in tempi utili ad evitare lo sfratto del Caffè della Pace. Una proposta arriva dall’assessore al Commercio Marta Lenori, la quale suggerisce che in un eventuale albergo che dovesse aprire in questo edificio, si potrebbe pensare di inglobare l’Antico Caffè della Pace. Al momento, si continuano ad organizzare manifestazioni volte a riportare l’attenzione pubblica su questa spinosa vicenda, ma per il resto, sembra proprio che si possa sperare solo nella sensibilità culturale della proprietà dell’edificio.
caffè-della-pace-sfratto-600x800Una mozione per salvare lo storico bar arriverà presto in Campidoglio, mentre prosegue la raccolta di firme per la petizione “Salva il caffè della Pace, no alla chiusura dell’antico caffè”, promossa dalla famiglia Serafini. Si può aderire recandosi direttamente in via della Pace, oppure online, tramite i siti www.firmiamo.it o www.change.org 

Ci auguriamo profondamente che questa vicenda possa concludersi nel migliore dei modi, e cioè riuscendo, in qualche maniera, a salvaguardare questo locale che tanto ha contribuito allo sviluppo culturale di Roma.

Ancora: La raccolta firme e l’impegno istituzionale hanno fortunatamente incontrato la ragionevolezza del rettore del Pontificio Istituto Teutonico: nel corso di un incontro tenutosi il 24 marzo 2014 in prefettura, e al quale erano presenti anche l’assessore alla Roma produttiva, Marta Leonori, i senatori Daniela Valentini e Maurizio Gasparri e il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, il rettore, riconoscendo il grande valore storico e culturale del Caffè della Pace, avrebbe deciso di mantenere l’attuale destinazione d’uso dei locali, godendo in tal modo anche del valore aggiunto che la presenza di un’attività storica conferisce all’immobile.

Purtroppo: nel 2016 purtroppo il Caffè della Pace è stato infine chiuso, nell’indifferenza delle istituzioni, comprese quelle che avevano finto di interessarsi alla vicenda.

Er cicoriaro

Cicoria-selvatica-300x238Sai che a Roma… esisteva il mestiere del cicoriaro? Il cicoriaro era colui che raccoglieva e vendeva la cicoria in campagna, per poi venderla in città al grido caratteristico di “cicurietta da coce: la cicurietta!”. Era un mestiere piuttosto diffuso, in cui si cimentavano sia i cicoriari veri e propri che i molti dilettanti o raccoglitori occasionali, o ancora chi la raccoglieva per necessità, cercando di sfamare la famiglia al minor costo possibile.

Spesso il cicoriaro di mestiere, eludendo la sorveglianza dei guardiani, si intrufolava anche nelle tenute private, e spesso “arricchiva” la sua raccolta di cicoria anche con qualche pollo o gallina, che poi rivendeva. Per questo motivo, e per i danni arrecati passando dentro le tenute, i cicoriari spesso non erano visti di buon occhio, e quando arrivavano i commenti più frequenti erano “Ecco il fuoco…” oppure “Ecco li padroni…!”. Frequenti erano anche le risse con i guardiani più attenti e scrupolosi, che tentavano di impedire il loro accesso nelle tenute che avevano in custodia. E non è un caso che, in senso traslato, l’appellativo di “cicoriaro” venisse affibbiato alle persone dal carattere irascibile, pronte a venire alle mani.

Gli “attrezzi del mestiere” si limitavano a una sacca da portare in spalla,  a un particolare tipo di coltello lungo, sottile e rigorosamente senza denti, con cui svellere la cicoria senza rovinare la pianta e, a volte, a una piccola zappa. Il cicoriaro poteva essere uomo, donna, giovane o vecchio: l’importante era avere la forza di inchinarsi  ancora, e poi ancora e ancora per procurarsi l’ambìto raccolto. Non a caso, la mossa tipica del cicoriaro al lavoro, soprattutto se non ben allenato, è quella, addrizzandosi, di appoggiare le mani sui reni flettendo la schiena all’indietro!

I cicoriari più intraprendenti potevano mettere su un’attività imprenditoriale, recandosi in campagna con un carretto trainato da un asinello, riuscendo così a raccogliere molta più verduraì: in questo caso il cicoriaro, che pur lavorando in campagna spesso abitava a Roma (soprattutto nel rione Regola), rimaneva a dormire fuori, trovando magari rifugio in qualche grotta o in una capanna di fortuna.

Importante era anche il ruolo della donna del cicoriaro, che in genere non lo accmpagnava nella raccolta, ma si occupava dell’altrettanto duro compito di “capare” (pulire) la cicoria, lavarla e a volte anche venderla.

Nel 1979, sembra che i cicoriari professionisti fossero ancora 167. Oggi sopravvivono per lo più numerosi dilettanti, che apprezzano il sapore della cicoria selvatica, molto diverso, in realtà, da quello della cicoria coltivata.

Uno dei modi più diffusi di consumare la cicoria, con il suo sapore dal caratteristico amarognolo, era in mezzo a uno sfilatino (piccola pagnotta di forma allungata), dopo averla bollita e condita con un filo d’olio. Ma il più famoso e gustoso, ancora oggi, è sicuramente ripassando la verdura bollita in una padella con olio, aglio e peperoncino. Un piatto povero, ma un pasto da re!

Cicoriari famosi erano poi quelli di Campoli Appennino (FR), che tradizionalmente, durante lo svolgimento della Festa de’ Noantri, avevano il privilegio di portare a spalla la Vergine del Carmelo e il suo pesante baldacchino, sfilando in processione per le vie di Trastevere.

Alla figura del cicoriaro è inoltre dedicata anche una nota fiaba popolare italiana, “Il cicoriaro e la Regina Incantata”, che puoi trovare qui 

Ostiense: dagli scavi riemerge anche una macina pompeiana

20130712-140354Ostiense: dopo le recenti scoperte archeologiche nel cantiere di via Ostiense, con il ritrovamento di importanti strutture antiche e di un misterioso mucchio di scarpe del periodo della Seconda Guerra Mondiale, la prosecuzione delle indagini ha restituito anche una macina pompeiana da grano (il nome deriva dal fatto che questa tipologia, dalla caratteristica forma a clessidra, era utilizzata soprattutto a Pompei).
Ora che lo scavo, iniziato per la sostituzione di una conduttura del gas, è stato notevolmente ampliato, la nuova scoperta permette nuove, ulteriori ricostruzioni relative all’occupazione dell’area, con la possibile presenza di un impianto produttivo che la macina da grano sembra appunto indicare. Difficile al momento capire se si trattasse di una piccola attività domestica o di una lavorazione su larga scala, anche perché la macina è stata rinvenuta accanto a un pilastro della Porticus di San Paolo emersa nel corso dello scavo, e quindi non nella sua posizione originaria. La stessa tipologia a cui la macina appartiene, fu utilizzata in un lungo periodo, dal IV secolo a.C. al Medioevo, e risulta quindi difficile, al momento, ricostruire con precisione la sua presenza nell’area.
Le indagini comunque, attentamente seguite dalla Soprintenza ai Beni Archeologici di Roma guidata da Mariarosa Barbera e con la responsabilità scientifica di Rita Paris, proseguiranno, sotto l’occhio attento dell’archeologa Francesca Mattei Pavoni, e di certo porteranno alla luce altre interessanti novità.