Sai che a Roma… esisteva il mestiere del cicoriaro? Il cicoriaro era colui che raccoglieva e vendeva la cicoria in campagna, per poi venderla in città al grido caratteristico di “cicurietta da coce: la cicurietta!”. Era un mestiere piuttosto diffuso, in cui si cimentavano sia i cicoriari veri e propri che i molti dilettanti o raccoglitori occasionali, o ancora chi la raccoglieva per necessità, cercando di sfamare la famiglia al minor costo possibile.
Spesso il cicoriaro di mestiere, eludendo la sorveglianza dei guardiani, si intrufolava anche nelle tenute private, e spesso “arricchiva” la sua raccolta di cicoria anche con qualche pollo o gallina, che poi rivendeva. Per questo motivo, e per i danni arrecati passando dentro le tenute, i cicoriari spesso non erano visti di buon occhio, e quando arrivavano i commenti più frequenti erano “Ecco il fuoco…” oppure “Ecco li padroni…!”. Frequenti erano anche le risse con i guardiani più attenti e scrupolosi, che tentavano di impedire il loro accesso nelle tenute che avevano in custodia. E non è un caso che, in senso traslato, l’appellativo di “cicoriaro” venisse affibbiato alle persone dal carattere irascibile, pronte a venire alle mani.
Gli “attrezzi del mestiere” si limitavano a una sacca da portare in spalla, a un particolare tipo di coltello lungo, sottile e rigorosamente senza denti, con cui svellere la cicoria senza rovinare la pianta e, a volte, a una piccola zappa. Il cicoriaro poteva essere uomo, donna, giovane o vecchio: l’importante era avere la forza di inchinarsi ancora, e poi ancora e ancora per procurarsi l’ambìto raccolto. Non a caso, la mossa tipica del cicoriaro al lavoro, soprattutto se non ben allenato, è quella, addrizzandosi, di appoggiare le mani sui reni flettendo la schiena all’indietro!
I cicoriari più intraprendenti potevano mettere su un’attività imprenditoriale, recandosi in campagna con un carretto trainato da un asinello, riuscendo così a raccogliere molta più verduraì: in questo caso il cicoriaro, che pur lavorando in campagna spesso abitava a Roma (soprattutto nel rione Regola), rimaneva a dormire fuori, trovando magari rifugio in qualche grotta o in una capanna di fortuna.
Importante era anche il ruolo della donna del cicoriaro, che in genere non lo accmpagnava nella raccolta, ma si occupava dell’altrettanto duro compito di “capare” (pulire) la cicoria, lavarla e a volte anche venderla.
Nel 1979, sembra che i cicoriari professionisti fossero ancora 167. Oggi sopravvivono per lo più numerosi dilettanti, che apprezzano il sapore della cicoria selvatica, molto diverso, in realtà, da quello della cicoria coltivata.
Uno dei modi più diffusi di consumare la cicoria, con il suo sapore dal caratteristico amarognolo, era in mezzo a uno sfilatino (piccola pagnotta di forma allungata), dopo averla bollita e condita con un filo d’olio. Ma il più famoso e gustoso, ancora oggi, è sicuramente ripassando la verdura bollita in una padella con olio, aglio e peperoncino. Un piatto povero, ma un pasto da re!
Cicoriari famosi erano poi quelli di Campoli Appennino (FR), che tradizionalmente, durante lo svolgimento della Festa de’ Noantri, avevano il privilegio di portare a spalla la Vergine del Carmelo e il suo pesante baldacchino, sfilando in processione per le vie di Trastevere.
Alla figura del cicoriaro è inoltre dedicata anche una nota fiaba popolare italiana, “Il cicoriaro e la Regina Incantata”, che puoi trovare qui